«Il valore del patrimonio artistico del Vaticano? Incalcolabile». A dirlo è Emiliano Fittipaldi, giornalista de L’Espresso che da anni indaga con le sue inchieste sugli scandali economici e non all’ombra della cupola di San Pietro, dopo che Papa Francesco ha dichiarato che «la Chiesa può vendere i propri beni per aiutare i poveri».

Il messaggio del Papa – «I beni culturali non hanno un valore assoluto – ha detto il Pontefice nel messaggio inviato al convegno organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura e dalla Cei presso l’Università Gregoriana di Roma, Dio non abita più qui? – ma in caso di necessità devono servire al bene dell’essere umano: è un insegnamento ecclesiale». Ma Fittipaldi osserva: «Come si può quantificare la ricchezza di certi beni artistici?».

La riorganizzazione economica del Vaticano – Le parole del Papa vanno a inserirsi nel contesto più ampio della riorganizzazione economica della Santa Sede. Da quando Francesco ha varcato il soglio pontificio, infatti, i conti dello Ior sono al centro del dibattito interno alla politica vaticana. Le riforme che il Pontefice vorrebbe attuare in materia di gestione economica non piacciono ad alcuni esponenti pontifici e spesso si è parlato dell’esistenza di intere fazioni avverse all’agenda del Papa.

Le inchieste sul patrimonio della Chiesa – Molte testate giornalistiche nel mondo hanno provato a quantificare le ricchezze del Vaticano, ma nessuno è mai riuscito a dare cifre esatte sul valore del solo patrimonio artistico. David Leigh del Guardian, per esempio, ha rivelato come l’espansione economica pontificia degli ultimi 50 anni risalga ai tempi del fascismo quando, grazie al consenso nei confronti del regime di Mussolini, la Santa Sede riuscì a investire in Svizzera, Francia e Inghilterra. Lo stesso Fittipaldi ha ricostruito la rete di società che costituiscono la holding responsabile del tesoro della Santa Sede. L’Apsa, per esempio, gestisce i 10 miliardi di euro detenuti dalla Chiesa tra titoli e proprietà immobiliare sparse in tutto il mondo. A queste vanno aggiunti i depositi offshore conservati nei paradisi fiscali e i ricavi degli investimenti nei maggiori settori strategici mondiali attraverso società con sede all’estero come, per esempio, la British Grolux Invesmentes Ltd che gestisce gli affari vaticani nel Regno Unito. Tutto questo permette allo Stato pontifico di detenere la seconda riserva aurea al mondo, dietro ai soli Stati Uniti, per un valore che supera i 140 miliardi di euro: se il Tesoro italiano dichiara 2.452 tonnellate di oro nei caveau della Banca d’Italia, il Vaticano ne conta 60.350.