«Non sono un assassino!» dice a voce alta Massimo Giuseppe Bossetti, il presunto assassino di Yara Gambirasio. E lo ripete tre volte. Prima alla giuria e poi voltandosi verso i presenti. Vuole che tutti lo sentano. Queste sono alcune delle parole della lettera che ha usato come bozza per le sue dichiarazioni spontanee nella mattinata di Lunedì 17 luglio. Una ventina di minuti in cui l’imputato ha provato a convincere della propria innocenza la giuria della corte d’Appello di Brescia che entro sera esprimerà il proprio giudizio. Sei i giudici popolari e due quelli togati, presieduti dal magistrato Enrico Fischetti.

L’innocenza – «Voglio iniziare con un pensiero rivolto a Yara, una ragazzina piena di sogni che purtroppo sono stati spezzati. Voglio ricordare anche la sua famiglia che dovrà convivere con questo dolore. Ma voglio anche sottolineare che per dar loro giustizia si deve cercare la verità giusta». Dice Bossetti all’inizio di quello che è l’unico momento in cui prende parola per tutta la durata del processo. È rosso in volto, ma la voce è ferma. Lo è quando parla di Yara, della sua famiglia e della sua innocenza. La stessa che ha sempre sostenuto, sin dal giorno dell’arresto. «Se fossi stato colpevole l’avrei ammesso subito: non avrei potuto sopportare il rimorso. Non solo, mia moglie se ne sarebbe accorta solo guardandomi negli occhi». La madre, Ester Arzuffi, lo ascolta con attenzione e non riesce a trattenere le lacrime.

Il dna – Dopo aver ricordato la sua famiglia e il suo carattere amichevole e non violento, che secondo lui gli avrebbe impedito di compiere un gesto così efferato, Massimo Giuseppe Bossetti affronta la “prova regina”. «L’accusa ha tanto parlato del dna. Hanno sostenuto che era tanto e tale quantità non avrebbe potuto essere frutto di un trasferimento da terzi. Hanno tentato di farmi crollare con ore di interrogatori, ma non ammetterò mai una cosa che non ho fatto», sottolinea Bossetti alzando il tono della voce. Si sta dilungando e il presidente di giuria lo invita ad essere breve. Ma Bossetti chiede di poter spiegare le proprie ragioni. È questo il momento giusto. «Vorrei chiarire la mia posizione presidente,» dice e prosegue «ho scoperto solo in seguito che il dna presente era esiguo e di dubbia origine. Abbiamo chiesto più volte di ripetere le prove ma ci è sempre stato negato. Così come non abbiamo mai potuto visionare i reperti». E conclude «Vi ringrazio per la pazienza e l’attenzione che ho notato in voi, quella che in corte d’Assise a Bergamo mi è stata negata. Ma vi chiedo, giudici, di non dare mai nulla di scontato, di permettermi di ripetere test e di sottopormi alla super perizia che dimostrerebbe la mia innocenza. Yara poteva essere mia figlia, non la conoscevo e non le avrei mai fatto del male. Non mi conoscete ma le prove della mia estraneità le potete trovare nella ripetizione degli esami. Anche quello del dna. Quale colpevole sarebbe disposto a fare ciò? Mi metto nelle vostre mani, cercate la verità. Io ho fiducia nella giustizia».