«È inutile parlare di tavoli e riunioni, ciò che bisogna fare qui lo sanno tutti». Per uno dei pochi negozianti che ancora tiene aperta l’attività in via Gola non è più tempo di concertare. Serve agire, subito. L’aggressione ai pompieri durante la notte di Capodanno ha nuovamente riportato al centro della scena la zona di Milano compresa tra il Naviglio Pavese e l’Alzaia Naviglio Grande, e in particolare via Gola, via Pichi e via Magolfa. Aree dove organizzazioni criminali dominano incontrastate da anni, occupando abusivamente case di proprietà dell’Aler, l’ente regionale che si occupa dell’edilizia residenziale, e spacciando senza che le forze dell’ordine possano fare molto per fermarli. «Chi gestisce la zona qui se ne infischia della polizia. Fa il bello e il brutto tempo» racconta preoccupato un residente di via Pichi, che mima il gesto del coltello sotto la gola per indicare le minacce ricevute dopo aver denunciato la situazione nel quartiere.

“Dax odia” – Saracinesche abbassate, pochi negozi aperti, poca voglia di parlare. Un presente silenzioso che quasi stona con il passato rumoroso raccontato sui muri. All’ingresso del quartiere infatti campeggia la scritta “Dax odia” per ricordare la morte di Davide Cesare, morto nel 2003 dopo un’aggressione da parte di tre fascisti. Ma oggi l’indignazione è diventata indifferenza, quasi quieto vivere. L’ultimo centro sociale rimasto, “Cuore in Gola”, organizza pranzi sociali e spettacoli per bambini. Tutto normale quindi? Ovviamente, no. Per Maria, residente in via Gola, «vivere qui è impossibile. Movida, schiamazzi, gente ubriaca e lasciano di tutto per strada. Danneggiano le macchine per dispetto, urinano sui marciapiedi. A certe ore noi residenti siamo costretti a chiuderci in casa». Luigi invece viene ogni giorno da Novate Milanese per venire a trovare lo zio malato, che abita in una casa dell’Aler in un condominio di via Pichi. «Trovi di tutto per strada, è un vero schifo. Comune e Regione sembrano non avere il minimo interesse a cacciare gli abusivi e a mettere piuttosto la gente che paga».

Massimo Aliprandini, presidente della Lega Obiettori di Coscienza presente in via Pichi dal 1983, ha invece una visione più articolata. Secondo lui infatti «i problemi del quartiere nascono certamente dalla mancata ristrutturazione e gestione da parte dell’Aler degli appartamenti. Ormai li considera “patrimonio irrecuperabile” ed è per questo che quando rientra in possesso di questi appartamenti li distrugge e cerca di renderli inabitabili. Altrimenti se ne impossessa la malavita». Secondo gli ultimi dati infatti, quasi il 40% degli appartamenti in via Gola, circa 88 unità, sono finite in mano agli abusivi a causa della malavita. Certo non estemporanea, visto che «i protagonisti del caso di Capodanno sono i “pazzi di via Gola”. Così si fanno chiamare. Sono spesso figli di quei criminali confinati nelle case dell’Aler che esprimono un evidente disagio sociale. Ma se aggredisci i pompieri difatti ti metti contro i gruppi criminali della zona che tutto vogliono tranne che il casino nella propria zona». Semplice: più la zona è controllata e sotto le luci dei riflettori, più è difficile per i gruppi criminali gestire i propri affari.

La speranza – L’unico faro credibile di legalità nella zona sono le associazioni locali, che da anni si battono per dare un futuro a questo quartiere. Come Spazio Aperto Servizi, associazione che dal 1993 si occupa di servizi sociosanitari, assistenziali, educativi e di accoglienza abitativa, presieduta da Maria Grazia Campese. Per lei la parola giusta per ridare speranza al quartiere è «rigenerazione, che vuol dire anche inclusione sociale e culturale. Il movimento dei cittadini e delle associazioni è stato importante ma Comune e Regione devono dare una mano. In particolare Aler, l’ente regionale, che deve provvedere maggiormente alla manutenzione dei suoi appartamenti. La rigenerazione urbana non può essere solo ristrutturazione ma anche sviluppo del territorio su più livelli con l’impegno congiunto di tutti i soggetti». Ne è convinta anche Vincenza Pezzuto, presidente della Casa Alda Merini in via Magolfa secondo cui «serve la mano di tutti per ridare fiducia e speranza a una delle aree potenzialmente più belle di Milano. Ma serve ridare una nuova linfa culturale».

Il futuro- Tante le idee sul tavolo. Secondo Campese serve una visione trasformativa del quartiere: basta con immondizia, luoghi promiscui e di spaccio. Ma soprattutto serve l’impegno civico di tutti: solo così, e con una politica che aiuti la vivibilità del quartiere con aiuti ai commercianti che a fatica restano aperti e a nuove attività, si può vincere il degrado». Per Aliprandini è «la politica che deve fare il primo passo, perché se non riprende in mano gli appartamenti lasciati in mano alla criminalità, difficilmente si potrà risolvere questa situazione». Ora bisogna rimboccarsi le maniche.