Cucchi

La foto di Stefano Cucchi mostrata durante il processo


Un “violentissimo pestaggio con schiaffi, pugni e calci” che avrebbe provocato “una rovinosa caduta da cui derivarono lesioni che determinarono la morte”. Questa la motivazione con cui i carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco sono accusati dell’omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi.
La svolta arriva con la chiusura delle indagini preliminari dell’inchiesta-bis sulla morte del giovane romano, arrestato il 15 ottobre 2009 per spaccio e morto una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini.

Addio prescrizione. Ci sarà dunque un nuovo processo «davanti a una nuova Corte d’assise con nuovi imputati, ma la grande novità – commenta a caldo il giornalista del Corriere Giovanni Bianconi – è che non scatterà la prescrizione, cosa che sarebbe avvenuta se si fosse rimasti alla sola accusa di lesioni, dato che i fatti risalgono a quasi 8 anni fa».
Il riavvio del’indagine, avvenuto nel settembre 2015 dopo che il primo processo aveva visto l’assoluzione degli agenti penitenziari e dei medici imputati, era stato reso possibile da intercettazioni telefoniche e ambientali dalle quali erano emersi elementi di accusa per i carabinieri, prima ascoltati solamente come testimoni.

Altre accuse. Tedesco, insieme al maresciallo Roberto Mandolini, è anche accusato di falso in atto pubblico perché nel verbale di arresto “attestava falsamente” di aver identificato Cucchi attraverso le impronte digitali e il fotosegnalamento. Il processo di identificazione dopo l’arresto sarebbe invece proprio il motivo per cui – secondo il pm Giovanni Musarò, titolare dell’inchiesta col procuratore Giuseppe Pignatone – il giovane, «non collaborativo» nell’operazione, fu picchiato. Agli stessi Tedesco e Mandolini si contesta di non aver verbalizzato la resistenza opposta dal detenuto alla stazione dei carabinieri dove fu portato e aver «attestato falsamente» che Cucchi rifiutò la nomina di un difensore d’ufficio.
Infine, Tedesco, Mandolini e Vincenzo Nicolardi, altro militare dall’Arma, sono accusati di calunnia, in quanto al primo processo testimoniarono contro gli agenti penitenziari affermando il falso accusandoli, «pur sapendoli innocenti», delle percosse.