Pomeriggio di domenica 23 febbraio, supermercato in zona Piazza Greco, Municipio 2 di Milano. Mentre si aggiorna l’elenco dei contagiati dal coronavirus, chi vuole fare la classica spesa settimanale intuisce subito che sarà una missione più complicata del previsto. Dopo aver parcheggiato in un piazzale insolitamente pieno per un giorno di festa, la prima sorpresa è l’assenza di carrelli.

Bisogna aspettare qualche minuto per vedere un cliente rimetterne a posto uno e poterlo così prendere. Il cliente indossa una mascherina. Come lui, anche qualcun altro all’interno. Una mamma con il figlio piccolo e un paio di signore anziane. Una volta entrati, è facile accorgersi di come le immagini viste su siti e televisioni non siano un’eccezione, ma la norma. Tra i carrelli ora bisogna slalomeggiare per evitare collisioni. Il reparto forno è svuotato. Se l’assenza del pane, verso le ore 18, può anche essere comprensibile, non c’è traccia nemmeno di qualcosa di più sfizioso come un dolce. Addirittura, poco più in là, risultano vuoti anche gli scaffali con le confezioni di pane morbido e pancarrè.

Nel frattempo, nel banco dei salumi a fianco, la clientela quasi si giustifica con i commessi per questa ressa (in)attesa: «Non si sa mai, ne stiamo sentendo di tutti i colori. Se poi non possiamo uscire o chiudete anche voi, come facciamo?». Muovendosi tra i banchi frigo, si comincia a pensare di dover essere fortunati a trovare quel poco che serve per una settimana di pasti. Affettati sotto vuoto, mozzarelle e formaggi spalmabili sono ridotti all’osso.

Ma la vera diaspora è quella del latte. Fresco, a lunga conservazione, parzialmente scremato, intero, alta digeribilità. Per chi vuole fare colazione in settimana resta solo la possibilità di acquistare qualche bottiglia con l’etichetta “senza lattosio”. E pazienza se non si è allergici.

Certo, non tutti i reparti si presentano completamente vuoti. La possibilità di acquistare c’è, la scelta di cosa comprare è già inferiore, almeno per i prodotti più consumati e da molti ritenuti di prima necessità. Zucchero e carne sono le altre sezioni più carenti. Di fronte al banco della carne, una coppia di amici, probabilmente dei coinquilini, si affretta a prendere qualche petto di pollo avanzato: «Dai dai, prendi, che poi vai a capire quando ci possiamo tornare qua».

Marito e moglie portano insieme il carrello. Lui le dice: «Non dovevi prendere la pasta?». Risposta eloquente: «Eh, se solo ci fosse». Anche qui i pacchi rimasti disponibili sono pochi, qualche formato ripudiato, più pasta lunga che corta e l’ormai consueta e triste scena del bianco degli scaffali che fa da padrone.

Ma l’aspetto che più colpisce è la corsa all’acqua. In alcuni carrelli ne sono caricate almeno tre casse. Qualcuno, di fronte alle poche bottiglie rimaste a disposizione, commenta ironico: «Ma dobbiamo affrontare pure la siccità?». Diffidenza verso l’acqua del rubinetto, paura che anche i supermercati possano essere chiusi come le scuole e i locali, oppure la volontà di barricarsi in casa fin quando quest’emergenza non passerà. Un’altra coppia di marito e moglie discute con un commesso: «Possibile che sia finito tutto?». «Purtroppo sì, non abbiamo mai visto nulla di simile».

Alle casse, la fila arriva attraversa i vari reparti. Le chiacchiere con le cassiere sono all’ordine del giorno: «Come facciamo a fidarci? Scuole chiuse, tutto chiuso, siamo venuti a prendere qui tutto quello che potevamo». E le cassiere come hanno preso questo surplus di lavoro? Male, verrebbe da dire. Ma poi, mentre si imbusta, se ne sente una sussurrare scherzosamente alla collega: «Di questo passo finisce tutto e riusciamo a staccare anche prima». Anche nell’era del coronavirus c’è sempre tempo e modo per farsi una risata.