Basta con il «gioco al massacro». È un invito alla calma quello che Magistratura Indipendente ha lanciato alle correnti che hanno aperto la crisi all’Anm, contestando la scelta del gruppo di invitare a tornare al Csm i consiglieri togati che si sono autosospesi in seguito ai risvolti delle inchieste della Procura di Perugia sul caso Palamara. Secondo i magistrati, Luca Palamara, ex presidente dell’Anm indagato per corruzione, avrebbe, tra le altre cose, ricevuto regali e soldi per pilotare le nomine dei vertici di diverse Procure italiane.

I fatti – Lo scorso 30 maggio la Guardia di Finanza di Roma perquisisce l’abitazione di Luca Palamara, uno dei magistrati più influenti del Paese, ex consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura ed ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Le accuse di corruzione avanzate dai pm vedono l’ex numero uno dell’Anm al centro di un sistema di tangenti nutrite dai soldi e dai regali dei lobbisti Francesco Bellavista Caltagirone e Fabrizio Centofanti, arrestato nel febbraio del 2018 per frode fiscale. Il fine dei due uomini d’affari era quello di nominare Giancarlo Longo a procuratore di Gela, obiettivo che solo l’intervento di Sergio Mattarella avrebbe fatto crollare, attraverso il blocco della nomina. Ma c’è dell’altro. Dalle carte perugine emergono dinamiche di sistema più ampie che vedono molti magistrati coinvolti in relazioni poco chiare con figure politiche e professionisti con problemi di giustizia. Personaggi che avrebbero fatto pressioni su Palamara con lo scopo di ottenere favori, come “eliminare” chi indagava su di loro. Dalle intercettazioni emergono dialoghi di Palamara con politici tra cui l’ex-ministro dello Sport Luca Lotti, uomo di fiducia di Matteo Renzi, già al centro dello scandalo Consip, e Cosimo Ferri, deputato del Pd non iscritto al partito ed ex-sottosegretario alla Giustizia nei governi Letta, Renzi e Gentiloni, oltre che magistrato molto influente nella corrente Magistratura Indipendente.

La rete di rapporti – Palamara avrebbe sfruttato la sua posizione per gestire una fitta rete e curare interessi precisi. Come nel caso dell’avvocato Piero Amara, che lui stesso dice di non aver mai frequentato, ma che secondo i pm avrebbe aiutato a risolvere i guai del legale con la giustizia. Insieme al collega Giuseppe Calafiore, Amara avrebbe cercato di capire come sbarazzarsi di Marco Bisogno, procuratore di Siracusa che stava indagando su di loro per il caso noto come “Sistema Siracusa”. Per farlo avrebbe quindi contattato Palamara chiedendogli di sfruttare la sua posizione nella commissione disciplinare, così da vedersi supportare dall’interno la sua istanza presentata e screditare Bisogno.

Il filone su Palamara – Le carte perugine investono altri due magistrati di Roma, Stefano Fava e Luigi Spina, accusati di rivelazione di segreto d’ufficio in un contesto simile a quello attuato contro Bisogno. I due magistrati avrebbero fornito informazioni sensibili a Palamara sull’ex-procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e sul suo collega Paolo Ielo, rivelandogli che stavano indagando su di lui. I due stavano lavorando proprio alle carte che hanno avviato a Perugia le indagini contro Palamara. E sono Pignatone e soprattutto Ielo a essere entrati per questo motivo nel mirino del magistrato e dei suoi colleghi, con Fava che ha presentato un esposto contro i due magistrati romani. In particolare, l’obiettivo di Palamara sarebbe stato quello di spostare Ielo dalla Procura di Roma a quella di Firenze così da ottenere maggiore libertà di azione rispetto ai propri interessi, tra cui spicca la volontà di ottenere il posto di capo della Procura di Perugia. Un interesse che, secondo le accuse, era così forte che Palamara avrebbe voluto nominare qualcuno di sensibile all’indagine a suo carico e interessato a danneggiare Pignatone e Ielo, prendendo le contromisure contro di loro.

Rischio scioglimento – Il caso Palamara ha aperto una diatriba interna alla magistratura senza precedenti nella storia della Repubblica. Lo scenario di un possibile scioglimento del Consiglio è diventato reale con l’acuirsi delle lotte interne. Tutto è iniziato quando Magistratura Indipendente, corrente di centro-destra dell’Anm, ha chiesto ai togati che esprime nel Csm – Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli – di revocare la loro autosospensione presentata in seguito all’inchiesta (i tre non sono indagati ma sarebbero finiti nelle intercettazioni ambientali di un incontro in cui si parlava della nomina del procuratore di Roma). L’iter di autosospensione ha coinvolto anche Gianluigi Morlini di Unicost, la corrente centrista. In seguito alle richieste di Magistratura Indipendente, le altre rappresentanze, come Area, di centrosinistra, Autonomia e Indipendenza, corrente “giustizialista” guidata da Piercamillo Davigo, e la stessa Unicost, hanno indetto per il 16 giugno una riunione dell’Anm per votare la sfiducia nei confronti della giunta e del presidente Pasquale Grasso, già ritiratosi dalla guida di Magistratura Indipendente.