Emmanuel Macron durante il comizio elettorale di Pasquetta a Parigi-Bercy (foto Ansa)

Ha un’infinità di soprannomi (“Il Mozart della finanza“, “Il Kennedy francese“, “Il candidato post sistema“), ha la faccia tosta di chi ha sposato la sua professoressa del liceo, ha la fortuna di aver potuto sfruttare a suo favore il Penelope Gate che ha coinvolto François Fillon e ha idee liberali con cui raccogliere voti sia da destra che da sinistra. Emmanuel Macron, che compirà 40 anni il prossimo 21 dicembre, ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali con il 23,75% dei voti e secondo i sondaggi vincerà anche il ballottaggio del 7 maggio contro Marine Le Pen. Sarebbe il presidente della Repubblica più giovane della storia transalpina, ennesima conferma che la politica tradizionale è ormai superata.

Milionario prima della politica – Volendo fare un paragone con l’Italia, la carriera del candidato di Amiens – figlio di due medici e leader di “En Marche!” – ricalca non tanto la parabola di Matteo Renzi, a cui è spesso affiancato, ma più quella di Silvio Berlusconi. E il motivo è semplice: i soldi. Macron, come il Cavaliere pre 1994, è milionario. Lo è grazie a un brillante percorso di studi tra l’università di Parigi-Nanterre, lo Iep (Institut d’études politiques) e soprattutto l’Ena, École nationale d’administration con sede a Strasburgo, miniera d’oro della classe dirigente che ha formato ministri, premier e anche tre presidenti della Repubblica: Valéry Giscard d’Estaing, Jacques Chirac e l’uscente François Hollande. Macron termina l’Ena nel 2004 ed entra subito a far parte del corpo d’ispezione generale della finanza. Quattro anni dopo è alla Rothschild, banca d’investimento fondata nel 1811 e presente in 40 paesi del mondo. Nel 2010 dirige l’acquisizione di una filiale del colosso farmaceutico Pfizer per conto della Nestlé: la transazione vale 9 miliardi di euro e la sua vita svolta. Un banchiere prima che un politico, dunque. Ma, anche se si propone come ventata di novità e cambiamento, guai a considerarlo lontano dall’establishment: proprio l’Ena è visto come una casta – solo il 4,5% degli studenti proviene da famiglie di operai – e non sono in pochi a volerlo chiudere. L’ultima critica di una lunga serie che va avanti dagli anni Sessanta è arrivata nel 2016 da Bruno Le Maire, sconfitto alle primarie del centrodestra da François Fillon, che ne aveva promesso l’abolizione in caso di conquista dell’Eliseo.

Emmanuel Macron in 140 caratteri

Il ministro liberal – L’esperienza politica di Macron è stata breve, giusto il tempo di capire che la sua vocazione non era quella di riformare il sistema ma di rivoluzionarlo. L’uomo che per la prima volta ha permesso al futuro leader di “En Marche!” di sedersi nei banchi del governo si chiama Jacques Attali e nel 2007 è stato scelto da Nicolas Sarkozy come presidente della Commissione per la Liberazione della Crescita. L’obiettivo di questo gruppo di esperti era uno solo: scrivere delle proposte per rilanciare l’economia francese. Nell’elenco dei 42 partecipanti Attali aveva inserito anche il nome di Macron che, appena trentenne, ha avuto qui l’opportunità di lavorare accanto a figure di spicco del panorama europeo fra cui l’ex primo ministro italiano Mario Monti. Nel 2008 la Commissione chiude i suoi lavori, ma le conoscenze create in questo anno non vengono dimenticate. Nel 2012 viene eletto all’Eliseo François Hollande. Il nuovo presidente della repubblica è molto vicino a Jacques Attali che gli suggerisce di chiamare Macron nella sua squadra. Il giovane banchiere accetta e lascia la via degli affari per dedicarsi a quella della politica. Ricopre l’incarico di vice segretario generale con delega alla finanza, un ruolo fondamentale nell’esecutivo francese. Nel 2014 il ministro dell’Economia Arnoud Montebourg si scontra con il premier Manuel Valls, condannando la sua politica improntata sull’austerity. Per Macron è il momento giusto. Quando nell’agosto di quell’anno Montebourg consegna la lettera di dimissioni è lui a prendere il suo ministero per guidarlo fino al 2016. In questi due anni acquista la fama di politico liberal. Prima sostiene una legge sulle liberalizzazioni e poi firma la proposta per mettere fine alla settimana lavorativa di 35 ore. Valls non approva la sua condotta e il loro rapporto si incrina. Nel novembre 2016 Macron rassegna le dimissioni per fondare il movimento “En Marche!” e cominciare la corsa verso la presidenza della repubblica.

Il 7 aprile 2016 è nato ufficialmente “En Marche!”

L’amore (im)possibile – Il 20 ottobre 2007 Macron ha sposato sulla spiaggia di Le Touquet, nell’Alta Francia, Brigitte Trogneux. Lei, ventiquattro anni più grande di lui, è stata la sua professoressa di francese e latino al liceo gesuita La Providence di Amiens. Madre di tre figli, divorziata, ha ceduto a un lungo corteggiamento cominciato negli anni Novanta tra i banchi di scuola di una città troppo piccola per evitare i pettegolezzi. Tant’è che il candidato di “En Marche!” è stato costretto a trasferirsi a Parigi per continuare gli studi e solo nell’estate 2015, durante una visita del re di Spagna Filippo VI, ha svelato la loro relazione ai media. «All’età di 17 anni, Emmanuel mi disse: “Qualunque cosa tu faccia, io ti sposerò!”», ha dichiarato sua moglie a Paris Match. Appassionato di pianoforte e musica classica, Macron da giovane ha giocato a calcio (tifa per il Marsiglia) e ha praticato la boxe francese, un’arte marziale conosciuta anche come “savate” e caratterizzata dall’utilizzo di scarpe rigide. La nonna gli ha trasmesso la passione per la letteratura, vocazione abbandonata dopo aver fallito il test per entrare all’École Normale Supérieure, “cugina” della Normale di Pisa da cui sono uscite personalità del calibro di Henri Bergson, Émile Durkheim, Jean-Paul Sartre e Simone Weil. Al Nouvel Obs una volta ha confidato: «Ho scritto tre romanzi e molte poesie. Avevo la vanità per diventare scrittore, ma non l’umiltà». E allora ha deciso di diventare milionario prima e presidente della Repubblica poi.

Pausa pranzo in montagna per Emmanuel Macron e la moglie Brigitte Trogneux a Bagneres de Bigorre (foto Ansa)

Resistere mentre gli altri cadono – Il raffinato oratore, il giovane ribelle, il moderato di buon senso. Nella sua campagna elettorale Macron ha interpretato molti ruoli. Ad averlo portato in testa ai sondaggi nel giro di sei mesi non ci sono solo le sue qualità ma anche un contesto particolarmente favorevole. Fra le sue carte ce n’è una fondamentale per un politico: l’empatia. È capace di ascoltare gli elettori e i suoi discorsi fanno presa sul pubblico, grazie alla retorica umanistica condita con un’abbondante spolverata di ottimismo. Dal punto di vista politico invece l’immagine su cui ha scelto di puntare è quella dell’homo novus che non vuole bruciare il passato ma prenderne solo le sue parti migliori. A differenza di Marine Le Pen che dice di non essere «né di destra né di sinistra», Macron si definisce «sia di destra sia di sinistra». A segnare la sua differenza rispetto alla vecchia politica ci sono anche le sue idee su come dovrebbe essere la futura squadra di governo: un gruppo di esperti formato da persone che non hanno mai ricoperto incarichi all’Eliseo, eccezion fatta per il premier. Gli scandali che hanno travolto François Fillon e Marine Le Pen hanno giocato a suo favore e gli hanno permesso di puntare sempre di più su questo punto.

Tra Hollande e Sarkozy – Macron al primo turno dello scorso 23 aprile ha conquistato il 23,75% dei voti e ha staccato di quasi due punti percentuali la favorita Marine Le Pen. Come mai era successo nella storia della Quinta Repubblica, dunque, nessuno dei due partiti “tradizionali” (gollisti e socialisti) sarà al ballottaggio. Destra e sinistra, in Francia, sembrano concetti superati. Il candidato di “En Marche!” è riuscito nel suo primo intento raccogliendo gran parte delle preferenze che non ha avuto Benoit Hamon (fermo al 6,7%) e alcune di quelle che François Fillon (19,9%) ha perso a causa del Penelope Gate. Paragonando l’elettorato a quello delle presidenziali del 2012, inoltre, si vede come il 41% tra chi preferì François Hollande al primo turno di cinque anni fa e il 20% del popolo di Nicolas Sarkozy hanno adesso varato sull’ex ministro dell’Economia.

La ridistribuzione dei voti – Il tempo di sventolare qualche bandiera tricolore e poi si è tornati al lavoro. Il 24 aprile è cominciata la campagna elettorale per il ballottaggio. Macron è dato come favorito. Le ultime stime, elaborate sempre da Ifop, ipotizzano che la sera del 7 maggio i suoi voti arriveranno al 60% del totale, con un 74% di partecipazione da parte degli elettori. A questi dati si aggiungono le intenzioni di voto degli sconfitti. Fillon e Hamon hanno dichiarato che voteranno per lui. Insieme portano in dote un tesoretto di voti pari al 26,2% degli elettori al primo turno. Certo non tutti seguiranno le loro indicazioni, ma Macron parte in vantaggio sul fronte alleanze. Il quarto candidato con più voti, Mélenchon, non ha voluto sbilanciarsi e al suo 19,3% di voti puntano entrambi gli sfidanti del ballotaggio. Le Pen per ora può contare solo sull’appoggio di Nicolas Dupont-Aignan, leader del movimento sovranista “Debout la République”, che al primo turno ha ottenuto il 4,75% dei voti.

Vincere tra fabbriche e denunce – Oltre ai numeri, ci sono due episodi che chiariscono il clima di questa campagna elettorale. Il primo è quello del 26 aprile, quando Macron aveva organizzato un incontro con i sindacalisti nella camera di commercio di Amiens. Qui si trova una fabbrica della Whirlpool che negli ultimi anni è diventata un simbolo della recessione industriale francese. Nel 2002 i lavoratori dello stabilimento erano 1300, ora sono 290 e ora l’obiettivo dell’azienda è chiudure per trasferire tutta la produzione in Polonia. Mentre il giovane leader era impegnato nella conferenza, la sua rivale si è pesentata ai cancelli della fabbrica dove è stata accolta dall’ovazione degli operai. Il massaggio era chiaro. Lei in prima linea, lui ad osservare da lontano, senza sporcarsi le mani. Macron non ha perso tempo. Prima di sera ha raggiunto la fabbrica e dopo una breve contestazione è riuscito anche lui a dialogare con gli operai. La sfida è all’ultimo voto. Si ribatte colpo su colpo. Il secondo episodio si colloca dopo il dibattito televisivo andato in onda la sera del 3 maggio. Le Pen ha aggredito Macron dal primo minuto. Lo ha accusato di avere dei conti aperti alle Bahamas, noto paradiso fiscale. Il volto di En “Marche!” ha deciso di fare chiarezza sulla questione. La mattina del 4 maggio ha denunciato la sua rivale per aver divulgato delle informazioni false. La procura di Parigi ha aperto un’indagine.


Il dibattito per il ballottaggio riassunto in cinque minuti

Una donna come primo ministro? – Prima il dato più importante: se le presidenziali francesi del 2017 segneranno la vittoria del candidato europeista Macron sulla nazionalista Le Pen sarà una buona notizia per chi vuole mantenere in vita la boccheggiante Unione Europea. «Viviamo tempi drammatici e la sfida non è più tanto tra destra e sinistra ma tra apertura e chiusura», ha confermato il candidato di “En Marche!” in un’intervista a Repubblica. Nel suo programma, che lui preferisce venga chiamato «progetto», c’è spazio per la cancellazione della tassa sulla prima casa per l’80% della popolazione, per lo stanziamento di 15 miliardi di euro per combattere la disoccupazione, per una legge anti-casta per vietare ai parlamentari di assumere parenti, per un’alleanza con la Germania per un’Europa a due velocità, per l’aggiunta di 10 mila poliziotti (di cui 5 mila alle frontiere) contro il terrorismo, per l’interventismo in Siria e in Iraq e per un bonus cultura di 500 euro per i diciottenni di renziana memoria. E il primo ministro? Dovrà essere «forte, non un collaboratore», e il «desiderio» di Macron è che sia una donna: «Ne ho parlato con altre persone e sarebbe questo il mio desiderio. Poi certo non scelgo un primo ministro perché è una donna. Sceglierò il primo ministro più competente, il più capace, con il desiderio e la volontà che sia anche una donna». L’unica, nella storia francese, è stata Édith Cresson tra il 1991 e il 1992 con il socialista François Mitterrand presidente della Repubblica.

Valerio Berra e Francesco Caligaris