A 38 giorni dal voto, in Regno Unito si accorciano le distanze fra il partito guidato dalla premier uscente Theresa May, forte della sua leadership nel post Brexit, e i laburisti di Jeremy Corbyn. Secondo gli ultimi sondaggi, la sinistra britannica è in risalita ma rischia di perdere oltre 100 seggi al Parlamento, una sconfitta senza precedenti. Se la vittoria alle elezioni dell’8 giugno prossimo è dunque già in mano ai Tories, quella dei Labour si preannuncia come una battaglia per la sopravvivenza.

Le previsioni degli analisti. Quando Theresa May ha improvvisamente annunciato le elezioni anticipate, decisione poi ratificata dal Parlamento con voto quasi unanime, il partito di Jeremy Corbyn poteva contare sulla metà dei consensi del partito conservatore. Un distacco di oltre 20 punti percentuali, che se confermato ne avrebbe segnato il tracollo. Ma è nelle ultime settimane che i laburisti hanno iniziato una lenta risalita nelle intenzioni di voto, stretti fra la paura per le trattative di “hard Brexit” condotte da May e la minaccia indipendentista della Scozia. Secondo un sondaggio commissionato dal Sunday Times, i Tories sono in testa con il 44 per cento dei voti, mentre i Labour hanno superato la soglia psicologica del 30 per cento. Una distanza di 10 punti che non può cambiare le sorti delle elezioni, ma consentirebbe a Jeremy Corbyn di mantenere salda la sua leadership all’interno del Partito e di garantire una sufficiente rappresentanza socialista in Parlamento.

La campagna elettorale. «Theresa May si sta nascondendo dal pubblico e ha troppa paura di confrontarsi con Jeremy Corbyn», ha dichiarato un portavoce del Labour al The Independent. Sta facendo discutere il rifiuto della premier inglese di confrontarsi con il candidato socialista in un faccia a faccia televisivo. I due leader per ora conducono le rispettive campagne elettorali a distanza: mentre May chiede il voto degli inglesi per garantire una maggiore forza nei negoziati sulla Brexit, Corbyn propone il progetto dei Labour come un’alternativa alla politica conservatrice degli ultimi sette anni che, a suo dire, ha danneggiato il Regno Unito portandolo fuori dall’Unione Europea. Non solo idee tradizionalmente di sinistra fra le proposte di Corbyn (come l’annuncio di abbattere le tasse sull’educazione), ma anche tentativi di confronto su temi più vicini ai conservatori. Ultimo in ordine di tempo l’annuncio di voler aumentare di oltre diecimila unità i poliziotti presenti sulle strade per garantire maggiore sicurezza ai cittadini.

Le spaccature nel partito laburista. Se la vittoria del Leave al referendum sulla Brexit ha inferto un duro colpo alla credibilità di Jeremy Corbyn, accusato di non essersi speso a sufficienza per difendere la causa del Remain, la crisi dei socialisti inglesi va avanti sin dalla sua elezione a segretario del partito nel settembre 2015. Una leadership che a molti esponenti di spicco del Labour non è mai andata giù. Fra i suoi principali antagonisti figurano Yvette Cooper e Chuka Umunna, deputati moderati filo-Ue che già pensano al dopo-Corbyn. Meno esposto è Clive Lewis, appartenente all’ala più estrema del partito piuttosto che a quella centrista di matrice blairiana. Anche gli eredi di Tony Blair sono contrari alla linea radicale decisa dall’attuale leader ed è la loro vicinanza al partito Liberal Democratico di Tim Farron a costituire la minaccia più grande per i laburisti. Vanno avanti, infatti, le defezioni dal partito iniziate già prima dell’inizio della campagna elettorale. Almeno 12 deputati si sono rifiutati di correre per un nuovo mandato e altri rischiano di seguire a ruota. Fra questi figurano Tom Blenkinsop e Helen Goodman, ministro ombra per il Welfare del Labour di Ed Miliband. E se la data delle elezioni politiche si fa sempre più vicina, la prima prova per la tenuta del partito e per la leadership di Corbyn saranno le amministrative del 4 maggio, quando numerosi council di Inghilterra, Scozia e Galles saranno chiamati a rinnovare i propri rappresentanti locali.