Era il 1985, l’Imu non esisteva – al suo posto c’era l’Imposta comunale sugli immobili, meglio nota come Ici -, ma di casa e proprietà se ne parlava già parecchio. Quell’anno le abitazioni comprate e vendute furono soltanto 430 mila. Un risultato così basso, finora, non si era più registrato. Oggi, mentre il capitolo tasse e prima casa infiamma il dibattito politico, il volume delle compravendite di immobili tocca di nuovo livelli record verso il basso. Il calo è stato vertiginoso:  una riduzione del 27,5 per cento in un solo anno. Dal 2011 al 2012 le transazioni sono scese da circa 600 mila a meno di 450 mila.

Nell’ultimo anno, gli italiani hanno investito poco nel mattone. La diminuzione più consistente si è registrata nel nord-est del Paese, dove la discesa è stata del 28,3 per cento. Tutti dati che emergono da un rapporto realizzato dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenza delle Entrate, in collaborazione con l’Associazione Bancaria Italiana (qui i risultati dello studio).

I comuni più interessati sono stati quelli che non sono capoluogo di regione, con un -26,1 per cento, contro il -24,8 per cento dei capoluoghi. Nelle otto principali città (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze), il calo è stato del 22,4 per cento, con un valore di scambio stimato di circa 19,5 miliardi di euro, ovvero 5,7 in meno rispetto al 2011. A livello nazionale, la diminuzione del valore di scambio è stata ancora più consistente: quasi 27 miliardi in meno, per un totale, all’incirca, di 75,4 miliardi.

Se numeri e percentuali dicono che oggi gli italiani non comprano più, altre cifre però lasciano ipotizzare che, forse, in futuro, ricominceranno a farlo. Dopo un anno e mezzo di calo, infatti, l’indice di accessibilità (che misura la possibilità di accesso all’acquisto di un’abitazione) è migliorato: circa il 50 per cento delle famiglie dispone di un reddito sufficiente a coprire almeno il 30 per cento del costo annuo del mutuo per l’acquisto di una casa.

Giulia Carrarini