«La sinistra sapeva tutto» sulle stragi del ’93. Sapeva «anche del contatto con Totò Riina». Riprende con affermazioni pesanti la deposizione del pentito Giovanni Brusca al processo sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra, nell’aula bunker del palazzo di giustizia di Milano dove il pm Nino Di Matteo non è potuto essere presente, minacciato di morte da Riina.
Brusca – collaboratore di giustizia ex fedelissimo di Riina – ha affrontato alcuni degli episodi più oscuri di quegli anni: il fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma del 31 ottobre ’93 e i contatti che sarebbero avvenuti tra Cosa Nostra e le forze politiche.
Il pentito era già tornato sulle informazioni che avrebbe appreso da Riina nelle settimane concitate tra la strage di Capaci e la strage di via D’Amelio: «Mi hanno portato questi: Vito Ciancimino, la Lega di Bossi e Dell’Utri», avrebbe confessato a Brusca Totò Riina, che però avrebbe rifiutato l’offerta. È in quel che frangente sarebbe spuntato il famoso “papello” con le richieste di Cosa Nostra allo Stato. Finito poi – spiega sempre Brusca – «nelle mani di Nicola Mancino», allora ministro dell’Interno della Dc. Le ultime dichiarazioni del pentito però chiamano in causa l’intero arco politico: anche la sinistra sapeva, dice, della trattativa in corso tra Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni.
È per questo che Brusca avrebbe proposto a Vittorio Mangano di suggerire a Marcello Dell’Utri – che in quei mesi stava preparando l’operazione Forza Italia per conto di Silvio Berlusconi – di ricattare la sinistra: «Dissi a Mangano – ha raccontato il pentito – di riferirgli che dei fatti del ’93 la sinistra sapeva e che poteva usare questa cosa, visto che ora incolpavano lui delle stragi». Scopo dell’incontro tra Mangano e Dell’Utri sarebbe stata la richiesta di intervento sul carcere duro, un punto presente anche nel papello di Riina: «(Mangano, ndr) mi disse che aveva incontrato Dell’Utri in un’agenzia di pulizie di una persona che lavorava per la Fininvest e che gli era stato detto: “Vediamo cosa si può fare”».
In quei mesi, decisivi per gli equilibri politici della Repubblica, il contatto con Dell’Utri sarebbe servito a fermare la strategia stragista che stava portando ad azioni sempre più cruente ed inquietanti. Come l’attentato fallito all’Olimpico, 120 kg di tritolo e bulloni che sarebbero dovuti esplodere all’uscita dei tifosi. L’esplosivo sarebbe stato posizionato vicino ai carabinieri che presidiavano la partita tra Lazio e Udinese, «così (anche i carabinieri, ndr) si sarebbero portati un po’ di morti dietro», avrebbe raccontato al pentito Gaspare Spatuzza il capomafia Giuseppe Graviano.
«Solo anni dopo, leggendo sui giornali del coinvolgimento dei carabinieri nella trattativa – ha spiegato Brusca – capii a cosa si riferiva». Dopo le bombe del ’93, l’attentato all’Olimpico doveva essere l’ultimo colpo per spingere chi aveva ricevuto il papello a tornare a sedersi al tavolo della trattativa. Brusca avrebbe parlato del progetto di attentato anche con il boss Matteo Messina Denaro: «Mi disse che fino ad allora non avevamo ottenuto nulla, facendo riferimento ai carabinieri – ha raccontato il collaboratore di giustizia in aula – e che qualcuno si doveva fare avanti per venire a trattare».
Andrea Tornago