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Il governo italiano voleva introdurre il salario minimo con il Jobs Act, ma nei decreti attuativi della legge delega manca il provvedimento

Dal primo aprile il salario minimo inglese passerà dalle 6,7 sterline lorde l’ora alle 7,20 lorde per un’ora di lavoro (+7,5%), circa 9,20 euro. Lo ha stabilito il premier conservatore David Cameron, che ha anche previsto un aumento del salario minimo, da qui al 2020, del 30%, cioè 9 sterline lorde l’ora, 11,4 euro.

Saranno quasi due milioni gli inglesi over 25 anni che ne beneficeranno e da qui al 2020 riguarderà sei milioni di persone. Secondo la Resolution Foundation, think-tank apartitico inglese, a godere dell’aumento del salario minimo nazionale (il National Living Wage, NLW) sarebbero soprattutto gli abitanti di alcune zone dell’Inghilterra, come Torridge in Devon (con un lavoratore su tre), Rossendale in Lancashire (33% dei lavoratori interessati), Woking in Surrey e Castle Point in Essex (32% in entrambe le città). Penalizzati, ancora per la Resolution Foundation, sarebbero invece i lavoratori della City di Londra, dove solo uno su 30 sarà compreso nell’incremento del salario minimo nazionale.

Anche dall’altra parte del mondo qualcosa si muove: l’Australian Council of Trade Unions (Actu) ha chiesto alla Fair Work Commission, l’organo australiano che si occupa delle relazioni industriali, di aumentare il salario minimo di 30 dollari australiani a settimana, circa 686,90 dollari australiani, cioè 464 euro. Questo vuol dire che un lavoratore australiano guadagnerebbe in un’ora non più 17,29 dollari australiani ma 18,07, all’incirca 12,20 euro. In California, il governatore democratico Edmund Gerald Brown Jr. ha deciso che il salario minimo (Minimum Wage, MW) debba passare dai 10 ai 15 dollari all’ora (circa 13 euro) entro il 2022. Sarebbe il più alto di tutti gli Stati Uniti.

E in Europa come siamo messi con il salario minimo? Inghilterra a parte, la Germania l’ha introdotto nel gennaio 2015: 8,50 euro l’ora per tutti i lavoratori. Al momento, però, pare che la legge, frutto dell’accordo tra il centrodestra di Angela Merkel e i socialdemocratici, mostri più che altro dei limiti: il testo non è dettagliato e non è stato aggiornato, ci sono molte zone grigie che lasciano spazio a speculazioni e soprattutto, sebbene siano previsti controlli, mancano i controllori.

Al momento in Europa ci sono 23 Paesi (sui 28 dell’Unione) che hanno adottato il salario minimo. A gennaio 2016, secondo l’Eurostat, c’erano dieci stati europei che avevano un salario minimo sotto i 500 euro mensili: Bulgaria, Romania, Lituania, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Slovacchia e Estonia. In Portogallo, Grecia, Malta, Spagna e Slovenia, invece, per 30 giorni di lavoro la retribuzione minima è compresa tra i 500 e i mille euro. Poi ci sono i Paesi più ricchi, dove il minimo mensile per un salario supera i mille euro: tra questi, oltre le già citate Inghilterra e Germania, ci sono anche Francia, Irlanda, Belgio, Olanda e Lussemburgo, dove peraltro vige un salario minimo legale di 11,12 euro l’ora per un ammontare mensile di 1922 euro, il più alto d’Europa.

Ci sono poi sei Stati in cui il salario minimo non esiste, e sono Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia e Italia. Nel nostro paese il Jobs Act, entrato in vigore il 16 dicembre 2014, aveva previsto di introdurne uno, non generalizzato ma applicabile solo per i settori che prevedono la contrattazione collettiva. Avrebbe riguardato non solo i lavoratori subordinati ma anche i collaboratori coordinati e continuativi. Eppure, tra i decreti attuativi della legge delega, il salario minimo non c’è più. Sembrerebbe uscito dal testo iniziale. In questo modo, secondo Lorenzo Cappellari, docente all’Università Cattolica di Milano, «il 13% dei lavoratori resta scoperto, soprattutto in settori come il turismo e le costruzioni». Si tratterebbe di circa due milioni di persone.

Chiara Baldi