La macchina perfetta del Conti bis si inceppa alla terza. E riparte a singhiozzi. È «La notte dei miracoli»: titolo e parodia di una serata nostalgia che omaggia Lucio Dalla e getta la prima nuvola su Sanremo 66. La serata inizia sotto i peggiori auspici – problemi tecnici durante la votazione dei giovani, il segnale che fa le bizze – e sfocia nel miracolo degli Stadio che vincono con lode il premio delle cover. Il vecchio che non tradisce.
Mentre Carlo Conti sugli schermi naviga a vista, in sala stampa si scatena la tempesta. Vittima sacrificale sull’altare della prima stecca Francesco Gabbani da Carrara con Amen. Perde la sfida con Miele per un errore di conteggio: il votatore, la macchinetta che permette il voto della giuria della sala stampa, non funziona. Sono le 21.09 e al secondo piano dell’Ariston già si grida al complotto. Nando Pagnoncelli intercede e ci mette una pezza: tutto da rifare. L’esito della votazione bis stravolge vincitore e vinto. Miele saluta, Gabbani vede la finale.

A Gabriel Garko il miracolo non riesce neanche la terza sera. Affonda sotto i colpi di un’auto ironia stucchevole e finta. Ha capito, così gli hanno detto, che non restava altro che scherzarci su ma per coerenza legge come un robot anche le battute. Tra le più “esilaranti”, il ringraziamento a Carlo Conti che gli ha dato la possibilità di fare il co-presentatore (valletto, del resto, era troppo sminuente): «Adesso la gente mi apprezzerà di più come attore». Onesto, quantomeno.

Garko giù, Viriginia su. Il trasformismo della Raffaele continua a divertire per davvero. È la volta di Donatella Versace che esordisce sul palco dell’Ariston con sigaretta e buongiorno. «Take it easy», tra tagliandi, ritocchi e abiti indossati al contrario. Perde i pezzi, non la verve. È il riscatto di una donna che, a conti fatti, da sola bastava al fianco di Conti.

Patty Pravo canta se stessa: «Tutt’al più», per non sbagliare. Elio e le storie tese manipolano Ludwing van Beethoven in chiave pop con un solenne e ritmato Quinto ripensamento. Vince l’ironia politicamente scorretta del leader dei Dear Jack, colombiano, che si congeda con un «Grazie sbiaditi». Noemi riprende quota con la strepitosa Berté di Dedicato. Dolcenerea fa la brutta copia di Nada: la strega maledetta del rock italiano resta inviolata, alla fatina dalla bacchetta arcobaleno la magia non riesce. Arisa canta Rita Pavone, lascia nel camerino il maglione della nonna e veste i panni della ragazzina tutta disco, luccichini e gambe a dondolo. Annalisa canta l’America della Nannini e sventaglia una cartolina di rock e sensualità nel tempio pudico del pop. Fragola fa il suo compitino con La donna cannone di De Gregori.

Madalina Ghenea imita Nicole Kidman ma il suo «Carlo mi vieni a prendere?» somiglia più alla provocazione di Mena Suvari in American beauty coperta da un bagno di petali rossi che all’eleganza senza tempo del premio Oscar in velluto nero.

Superospiti all’italiana per la terza serata del Festival. I Pooh scelgono il palco dell’Ariston per festeggiare 50 anni di musica, 30 milioni di dischi venduti e 3000 concerti dal vivo, «quelli che restano nel cuore per sempre». E si conquistano l’ovazione del pubblico e della sala stampa. Una storia semplice la loro che attraversa quasi quattro generazioni: «Abbiamo cominciato da ragazzi, siamo diventati uomini». Il segreto? «Saper rinunciare a qualche idea per salvare l’equilibrio del gruppo. Non siamo superuomini, ci sono stati momenti difficili ma il gruppo è una famiglia, ci aiuta a rimanere in pista».

Elisabetta Invernizzi
Angelica D’Errico