«Discutere se fare o no l’accordo con i Cinque stelle? Una trovata mediatica di Renzi. Quello di cui bisognerebbe parlare è cosa fare dopo una disfatta storica». Il ministro della Giustizia uscente Andrea Orlando, intervistato da Radio Capital, non risparmia dure critiche al segretario dimissionario del suo partito, il Pd. «Si prova a parlare di questo per evitare una discussione su un risultato che è stato drammatico. È come buttare la palla in tribuna». Quattro giorni dopo il voto che ha consacrato l’ascesa di M5S e Lega, il partito perdente non smette di discutere. La sconfitta netta, le alleanze di governo, le correnti interne al partito, la poltrona di segretario: gli iscritti al Pd devono vedersela con non pochi problemi, mentre i vincitori vanno in cerca di sostegno per formare un governo.

Sul carro degli sconfitti– «Anch’io mi iscrivo come Calenda. È logico, io non sono uno che salta sul carro dei vincitori. Io salto sul carro di chi ha difficoltà». Lo ha detto a Radio Padova, il fotografo Oliviero Toscani che ha aggiunto: «Fare il segretario? Subito, altro che rottamazione. Ma non sculaccerei Renzi, è stato già sculacciato abbastanza». Più contenuto il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che, dopo l’iscrizione al Pd, scrive su Twitter: «Lo faccio per passione e non per calcolo.  Mi auguro che molta gente vada a iscriversi per ripartire, punto». Tra chi continua a sostenere il carro del Pd c’è anche l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi che a Repubblica dice: «Il Pd è finito? No, non c’è nulla di irrimediabile in politica, c’è sempre un futuro. Non tutto è irrimediabilmente compromesso». «Il Pd non è finito, sono d’accordo con Prodi», concede Orlando a Radio Capital, «ma dobbiamo capire da dove si riparte. Abbiamo un problema strutturale, non siamo in grado di rappresentare i settori popolari della società».

Segretario chi? – L’ambiguità delle non-dimissioni di Renzi va risolta, secondo Orlando. «Le dimissioni significa che poi non è che detti la linea o partecipi alle trattative: o le dai o non le dai». E alla domanda se abbia intenzione o meno di candidarsi a segretario, risponde: «Non bisogna fare una frettolosa corsa alla scelta della leadership, c’è prima da fare un percorso di rifondazione del Pd, dovremmo aprire una fase costituente. Di fronte a una botta come questa non basta cambiare segretario ma capire che percorso aprire». Il ministro sottolinea poi che se Carlo Calenda vorrà candidarsi alle primarie, sarà suo diritto farlo. «Ha idee diverse dalle mie ma il partito deve essere plurale». D’accordo con la necessità di chiarire la posizione del segretario anche Rosy Bindi, parlamentare uscente, non ricandidata con il Pd: «Spero che lunedì in direzione Renzi si dimetta». Ma su una cosa gli dà ragione: «Dobbiamo restare all’opposizione».

Alleanze si, alleanze no – Questo è l’altro tema su cui gli sconfitti si stanno accapigliando da quattro giorni. Allearsi con il M5S? Con la Lega? Con nessuno? «Non considero i Cinque stelle il diavolo ma il problema sta nelle differenze politiche e programmatiche con loro. Dall’opposizione si possono fare molte cose, si può contribuire all’evoluzione del quadro politico, si possono fare battaglie che diventano maggioritarie», ha sottolineato Andrea Orlando. Della stessa opinione è Ettore Rosato, capogruppo del Pd alla Camera, che in un’intervista al Corriere della Sera dice: «Abbiamo perso le elezioni ed è giusto che andiamo all’opposizione. M5S e Lega dicono le stesse cose. Si parlino e si presentino alle consultazioni con una proposta. Insieme hanno i numeri per governare». Dalle pagine di un altro quotidiano, La Repubblica, gli fa eco un altro iscritto Pd, Giuseppe Sala: «Il Pd deve stare all’opposizione, e non al governo. Il che non vuol dire votare sempre e comunque contro. Deve farsi sentire sull’europeismo che è necessario. Sui diritti. E sulla Flat tax, alla quale sono radicalmente contrario».

Intanto, i vincitori – Matteo Salvini si prepara ad «andare al governo e a incontrare le altre forze politiche», rifiutando “inciuci” e puntando il dito contro un possibile accordo Pd-M5S. E il centrodestra? «Salire insieme al Quirinale avrebbe un senso», ha detto a Rai Radio 1 il vicesegretario della Lega Giancarlo Giorgetti. «Indicherebbe chiaramente che Salvini è il candidato della coalizione del centrodestra. La Lega non fa nessuna Opa sul centrodestra. Sono gli elettori che hanno scelto. Toti ha una sua idea da tempo circa il partito unico. Ma in caso noi come Lega saremmo pronti». Le parole di Giorgetti rispondono all’appello lanciato dal governatore della Liguria Giovanni Toti che, intervistato dal Corriere della Sera dice: «Adesso si aprono questioni strutturali nel centrodestra che devono vederci protagonisti, perché c’è uno spazio gigantesco per un’area moderata, con o senza un partito unico. Io da sempre sono fautore di una forza unitaria, ma se gli alleati non fossero d’accordo dovremo comunque organizzarci e costruire noi una nuova forza moderata». Intanto, il Movimento cinque stelle non è d’accordo con l’ipotesi di un incarico alla Lega e il leader Luigi Di Maio sottolinea: «Non siamo una forza territoriale come la Lega, siamo una forze nazionale e siamo inevitabilmente proiettati al governo», ricordando che «sono gli altri a dover parlare con il M5S». E mentre in molti fiutano l’ipotesi di un appoggio Pd-M5S c’è chi, come Roberto Maroni, mette in chiaro: «M5S e Lega hanno vinto le elezioni e devono governare». Necessariamente insieme, dunque.