Zainetto in spalla, affrontano il mondo ordinanza dopo ordinanza e i media fanno fatica a raccontarli

Ai tempi di Salomone, qualcuno avrebbe proposto di dividerli letteralmente a metà. Oggi comunque i figli dei genitori separati vengono “spezzati” nei vari fascicoli dei tribunali: contesi dalle regole, strattonati da mamma e papà. Tra una telecamera e un video fatto finire su You Tube alla ricerca di sostenitori.

Tirato da una parte e dall’altra, dalle spalle e dai piedi, lo è stato davvero Leonardo, diventato il simbolo dei bambini al centro delle liti tra adulti. La sua tuta azzurra, le sue grida «Aiutatemi!» fuori dalla scuola elementare di Cittadella dove è stato portato via dalla polizia per essere affidato al padre, sono rimbalzate dalla carta agli schermi. Il tribunale sta cercando di risolvere il caso a colpi di ordinanze. Anche i media fanno fatica a tenere insieme così tante voci senza farsi trascinare da nessuna, consapevoli di essere spesso usati per creare il “partito” dei favorevoli e dei contrari. Ogni aspetto va raccontato, ma non un passo oltre il confine: c’è un minore coinvolto. «Davanti a un bambino l’audience deve fare un passo indietro», raccomanda il Garante per l’infanzia e l’adolescenza Vincenzo Spadafora.

In Italia, un figlio di separati o divorziati su dieci è oggetto di una causa, «vittima della conflittualità dei genitori e delle criticità di un sistema che va assolutamente riformato», puntualizza il Garante. Con il rischio di diventare come il tappeto da assegnare o la casa al mare da spartirsi, “bene a metà” tra madre e padre. Almeno diecimila i bambini che – zainetto in spalla, doppio spazzolino da denti, un pacco di merendine aperto in ogni dispensa – si spostano da un appartamento all’altro tra le contese degli adulti. Di più se si contano anche quelli nati dagli ex conviventi. Vivono sulla loro giovane pelle quello che sta scritto nei fascicoli dei genitori: la consegna della casa, la suddivisione di oggetti, soldi e animali. E pure del loro tempo libero.

Quando i genitori si legano ad altre persone, tutto si fa più complicato. Lo sa bene il padre che in estate «potrà tenere con sé la figlia per una settimana intera, portandola in vacanza a condizione che dalla stessa vacanza sia esclusa la nuova compagna». Come da sentenza del Tribunale di Ancona, che ha considerato questo rapporto un pregiudizio per l’educazione della bambina perché nato durante il matrimonio. I giudici di Brescia invece hanno deciso l’affido esclusivo a una madre che convive con una donna: non ci saranno «ripercussioni negative» sulla crescita del figlio. Verdetti che vanno in direzioni opposte, per una giurisprudenza che in Italia – dicono gli esperti – fa fatica a tenere il passo di una società cambiata. E con essa forse pure i media.

L’omosessualità, i patrigni e le matrigne, i loro figli e quelli che nascono da una seconda unione si intrecciano al matrimonio o alla convivenza che finisce. Davanti a queste nuove complessità la giustizia va a tentoni, è «senza limite». Usa queste parole il papà del bambino di Cittadella, che è anche avvocato e vicepresidente dell’Associazione padri separati di Padova, a cui si è avvicinato quando è scoppiato il suo caso. Spiega, con la voce ancora rotta dopo mesi dall’episodio che ha coinvolto il figlio, che «si passa di procedimento in procedimento». Almeno finché i genitori continuano a parlare solo il linguaggio dei ricorsi e delle segnalazioni alle autorità, «una al giorno da parte nostra», fa sapere Andrea Coffari, avvocato della madre e presidente del Movimento per l’infanzia. «Da quando Leonardo è in casa famiglia alla signora Giglione sono stati imposti contatti meno frequenti con il figlio. Colpa della diagnosi di alienazione parentale, una sindrome inventata per reprimere la spontaneità di cui ormai godono i bambini». L’altro genitore racconta una storia diversa. «Sul quadro specifico i medici potranno anche dibattere, ma il fenomeno lo riconoscono tutti. Leonardo è stato privato di suo padre e, in più, educato a odiarlo. Adesso il bambino mi butta le braccia al collo ogni volta che mi vede, mi bacia. Insieme andiamo dappertutto».

Il faldone del caso di Cittadella si è gonfiato in sei anni di ventitré querele di mancata consegna, che hanno fatto perdere alla madre Ombretta la patria potestà. Poi un’ordinanza di allontanamento dall’ambiente familiare materno, due tentativi falliti di esecuzione e un terzo il 10 ottobre scorso. Il videofonino della zia registra e manda su You Tube «la cronaca vera di quel giorno, l’unica in grado di dar voce ai bambini contesi», secondo Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori. Niente a che fare con «l’indugio di chi ha mostrato il video senza il commento degli esperti». Di continuo – «Mio figlio non ha potuto accendere la tv per oltre un mese», ricorda papà Michele – e staccato dall’altro filmato. Quello usato dalla Questura di Padova per «segnalare» nonno, zia e genitore di un compagno di classe di Leonardo per oltraggio, resistenza a pubblico ufficiale e inosservanza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Adesso il bambino di Cittadella ha bisogno di un po’ di silenzio, nella casa famiglia dove viene preparato al trasferimento dal padre. I genitori disertano i talk-show, schivano i microfoni. I media provano lo stesso a non dimenticare. Nel frattempo, però, finita l’urgenza Leonardo torna nell’ombra, lì dove si sentono lasciate le famiglie che spezzano la formula “padre più madre uguale figli”. Come quelle ricostituite, che oggi sono il 6 percento del totale.

Capita che le nuove realtà genitoriali cerchino l’attenzione dei media, nel tentativo di colmare un ritardo giuridico. «Nel 1975, mentre l’Italia era impegnata nella riforma del diritto di famiglia, la Svizzera riconosceva già ruolo e responsabilità di matrigna e patrigno», nota Barbara Lanza dell’Osservatorio diritto di famiglia, sezione di Verona. Una proposta arriva da Paola Di Nicola, sociologa dell’Università veronese: «Per gli adulti che vivono part-time con i minori serve la potestà. Ne basterebbe una depotenziata, che consentisse almeno di portarli via da scuola prima se stanno male. Anche perché, se la storia finisce, c’è da chiedersi chi garantirà la continuità della relazione». E l’integrità, nella mente oltre che nel corpo, di questi bambini.

Giuliana Gambuzza