Motovedetta della Guardia Costiera durante un’azione di salvataggio, nell’ottobre 2022 (ANSA/ CONCETTA RIZZO)

In questi giorni tutti gli occhi sono stati puntati su Catania e sulle navi delle Ong, ma gli arrivi sull’isola di Lampedusa non si sono fermati. In 36 ore sono stati soccorsi 640 naufraghi, suddivisi tra diversi mezzi di navigazione. Tutti i barchini sono partiti da Sfax, in Tunisia, ma la provenienza dei migranti a bordo spazia tra Costa d’Avorio, Burkina Faso, Guinea, Camerun e Nigeria. Nella camera mortuaria di Lampedusa ci sono ora cinque persone decedute, tra cui una donna che è deceduta per un arresto cardiaco, e un neonato. Due settimane fa un’altra barca era arrivata con diverse persone morte, tra cui due bambini di 1 e 2 anni, a causa di un incendio avvenuto a bordo.

L’ultima tragedia –  Al largo di Lampedusa la Guardia Costiera ha recuperato un’imbarcazione con a bordo 36 persone: tra queste, c’era un neonato di appena venti giorni, morto per un malore. Gli esami medici non hanno rilevato segni di violenza sul corpo del bambino, partito con la madre diciannovenne dalla Costa d’Avorio. La mamma ha confermato che il piccolo soffriva di problemi respiratori e che stavano cercando di raggiungere l’Italia per curarlo, mentre il padre è rimasto indietro. All’attracco al molo Favarolo è già stata portata una bara bianca, e la Procura di Agrigento avrebbe dato il nulla osta per la sepoltura.

Un’emergenza costante – In questo momento nell’hotspot di Lampedusa si trovano 1365 migranti. La prefettura di Agrigento ha disposto il trasferimento di 110 persone a Porto Empedocle, e di altre 250 in serata. Nell’ultimo anno, stando ai dati forniti dal Ministero dell’Interno, ci sono stati 89.185 sbarchi in Italia, senza contare i seicento di questa notte. In una lettera aperta a la Repubblica di quest’estate, il dottore Angelo Farina, operativo a Lampedusa, ha osservato che di questi sbarchi il 40% interessa l’isola, e che la situazione peggiora in estate, quando l’hotspot arriva a ospitare sulle 2000 persone, tutte in attesa delle procedure di accoglienza: tampone, fotosegnalamento e pre-identificazione. Il problema, nota il dottor Farina, è che si continua a trattare la situazione in maniera emergenziale, quando è ormai chiaro che ogni anno il flusso di arrivi si presenta nelle stesse modalità. I numeri, oltretutto, sono impegnativi per la struttura che deve assicurare il diritto alla salute per tutti in condizioni complesse e che ha una capienza di 389 persone, ma sono irrisori su scala nazionale: 2000 persone contro circa 59 milioni di abitanti in Italia.

L’approccio hotspot – L’hotspot di Lampedusa, in Contrada Imbriacola, è attivo dal 2015 come centro di accoglienza. Un report di agosto dell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) si è mostrato molto critico sul cosiddetto “approccio hotspot”, che prevede il contenimento dei cittadini stranieri in un unico luogo in cui vengono poi attivate le procedure di identificazione. Applicato in Italia in assenza di una disciplina legislativa specifica, trova i suoi limiti alla prova dei fatti. La capienza delle strutture è insufficiente, specialmente nei periodi di forte afflusso; gli standard igienici sono inadeguati, se si tiene anche conto che, come riporta il dottor Farina, la maggior parte delle persone presenta infezioni dermatologiche, mentre sono molto rare le infezioni sistemiche come tifo e malaria.

L’appello del sindaco – Nel frattempo, però, molti continuano a morire ancora prima di arrivare. Il sindaco di Lampedusa e Linosa, Filippo Mannino, in carica da giugno, si sfoga: «È un continuo ricevere chiamate da parte delle forze dell’ordine per informarmi che ci sono cadaveri. Mi sembra di assistere a un bollettino di guerra». Riporta l’ANSA che il 28 novembre Mannino incontrerà il ministro Piantedosi al Viminale.