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Lasciando sbarcare i soggetti bisognosi di cure mediche, le donne incinte e i minori, Piantedosi si è messo al riparo dall’accusa di omissione di soccorso. Quanto notificato alle Ong, inoltre, non nega l’assistenza sulla base di un presunto pericolo, come nel caso del decreto sicurezza emesso nel 2018, anzi la garantisce, anche se solo per un determinato periodo di tempo. Il doppio terreno su cui Piantedosi sta giocando la sua partita è quello della definizione giuridica di chi è a bordo della nave umanitaria e quello dell’attuazione della Convenzione di Dublino, che l’Italia ha sottoscritto che impone l’obbligo di asilo al Paese di prima accoglienza. Il ministro si appella al fatto che i naufraghi soccorsi dalle Ong sono, a rigor di legge, migranti irregolari, poiché non hanno superato un regolare controllo alla frontiera. Secondo il ministro, quindi, una volta soccorsi, i naufraghi devono avviare l’iter di accoglienza, che parte con la richiesta di asilo, la quale può essere avviata dal comandante dell’imbarcazione a nome dello Stato di cui batte bandiera. In questo modo, in accordo alle disposizioni di Dublino, a farsi carico di tutto il processo sarebbe quel determinato Paese, evitando all’Italia questo onere.

La legge – Chi contesta l’azione del ministro punta il dito sul fatto che non a tutti è stato permesso di mettere piede in terra, andando contro le norme del diritto internazionale. La Convenzione Onu di Montego Bay del 1982 – comunemente detta «legge del mare» – prevede che chiunque si trovi in una situazione di pericolo in mare vada salvato e che l’operazione di soccorso possa considerarsi conclusa solo dopo lo sbarco nel più vicino porto sicuro. Un’affermazione, però, imprecisa. La Convenzione riconosce l’obbligo di soccorso (art. 98), ma non quello di accoglienza. L’art. 18 (c. 2) comunque afferma che «la fermata e l’ancoraggio» di un’imbarcazione straniera sono consentiti se «resi necessari da forza maggiore o da condizioni di difficoltà, oppure sono finalizzati a prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in pericolo o in difficoltà». Il comma 2 dell’art. 19, tuttavia, stabilisce che «il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero se, nel mare territoriale, la nave è impegnata» con «il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero. E’ proprio questo articolo quello sfruttato da Piantedosi per giustificare l’operato del suo ministero.

Gli irregolari – Il Testo unico sull’immigrazione afferma che «lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare» vada condotto «per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti» e che «presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico» (Titolo II, art. 10 ter, c. 1). Chi arriva in Italia a seguito di un’operazione di salvataggio in mare, quindi, non può essere considerato irregolare fino a che si trova ancora nella fase di soccorso.