«No dai, non ci credo, la febbre ora no, non posso averla», mi dico mentre sto entrando in casa. Ma ho mal di testa e sono appena arrivata a Firenze, dopo un viaggio da Milano in macchina. Così non saluto mamma e papà con il solito abbraccio. Un po’ per scherzo e un po’ per precauzione, visto che vengo da una zona a rischio contagio che è stata appena dichiarata off limits dalle autorità sanitarie. E’ solo l’inizio e poi toccherà a tutta l’Italia, ma in quel momento non lo so ancora.
Un’altra cosa che non so è che sta per cominciare la mia esperienza di autoreclusa, in quarantena volontaria. Mentre i miei genitori ascoltano alla televisione gli aggiornamenti sul Coronavirus, ci parliamo a distanza. Vado in bagno, mi faccio una doccia calda, cerco di non pensare al virus. Ma ho sempre mal di testa. Prendo il telefono, chiamo il mio amico che era stato quattro ore in macchina con me: «Giovanni, tu come stai? Ti senti male?». Risposta negativa. Ok, manteniamo la calma. Però la febbre è meglio misurarla. Effettivamente ce l’ho. Chiamo il numero verde attivato per l’emergenza in Toscana.
«E’ in linea con azienda Usl Toscana Centro». Mi risponde un nastro registrato. In effetti sono le nove di sera ed è troppo tardi per sperare nella risposta di una persona. Il servizio è attivo fino alle 20:00, dal lunedì al venerdì. Lascio un messaggio in segreteria e aspetto che mi richiamino. Poi telefono al 112, che mi passa al trasmette al 118. Mi chiedono le generalità, da dove vengo e se sono stata in contatto con persone risultate positive. Rispondo di no. Poi mi chiedono, dato che vengo da una «zona rossa» e presento la sintomatologia, se voglio che chiamino l’ambulanza e mi portino all’ospedale. Senza fare eroismi ma memore di un po’ di buon senso impartito anche grazie all’esperienza in Croce Rossa, penso di essere, nonostante la febbre, abbastanza in forze per curarmi a casa. Decido di tenermi monitorata e fare la quarantena. I miei genitori seguono la mia decisione.

Scelta incosciente – Da Milano, sono tornata a Firenze sabato 7 Marzo, in macchina. Nella mattina, la decisione di fare una valigia un po’ più grande del solito zaino, data la proroga della chiusura delle università. Un modo per stare un po’ a casa in attesa degli sviluppi. A posteriori, una scelta incosciente. Fin dalla sera della chiamata (sabato notte), ho capito che anche per il sistema ospedaliero fiorentino la situazione è critica. Comunicare con dottori e infermieri è difficilissimo. Così come con i medici di famiglia, costretti a passare giornate al telefono. E’ complesso anche citare “gli ultimi numeri” dato che si aggiornano in continuazione: sono circa 2.522 le persone in isolamento a casa in Toscana mentre complessivamente, i contagiati dall’inizio dell’emergenza salgono in tutta la regione a 208, comprese tre persone clinicamente guarite, un deceduto e un paziente definitivamente guarito.

La mattina dopo – Passata la notte, con febbre a 37,8, la mattina squilla il telefono. Dall’ Unità sanitaria locale hanno ascoltato il mio messaggio in segreteria e mi richiamano. Di nuovo, come al 118, lascio le mie generalità, spiego la situazione e da dove vengo. Mi consigliano di tenermi in contatto con il mio medico curante, e mi dicono di avermi inserita nel sistema per il tampone. Ma aggiungono un avvertimento: «Probabilmente non arriverà a breve il tampone. Forse neanche la prossima settimana». Insomma non si sa.
Chiamerò ancora anche il giorno seguente e quello dopo ancora, avendo sempre la febbre e non avendo ricevuto molte rassicurazioni in merito al possibile arrivo del tampone. «Sai anche il tampone non è che ti direbbe molto. O sei positiva oppure no», mi dice la guardia medica. Bè, un po’ di differenza, la fa. I numeri dell’emergenza virus in toscana li ho cercati su Google. Poi li ho imparati a memoria. C’è lo 055 5454777.  Ma ci sono anche il numero verde regionale, 800.556060, e quello nazionale, il 1500. Linee telefoniche intasate, attese in linea di malmeno 30 minuti e molta, molta pazienza anche nei confronti del personale sanitario che dall’altra parte della cornetta risponde stravolto.

In casa – La mia quarantena è iniziata, volontariamente, dopo una febbre misurata due giorni prima che chiudersi in casa diventasse una regola generale. Da quel momento non ho pensato molto a sfruttare questo tempo come un’opportunità. Avverti le persone con cui sei stata in contatto e monitora i tuoi sintomi. La febbre, i dolori, la scomparsa di gusto e olfatto e l’attesa del tampone. In sottofondo, gli aggiornamenti sul sistema sanitario al collasso. Le giornate lente e scomode, che non passano mai. Suona il telefono: “Sai se sei positiva?”, “Come ti senti?”. Nelle tregue dal mal di testa, c’è un po’ di lavoro arretrato. In casa ognuno si è ritagliato il proprio spazio: a me una camera e un bagno a disposizione. La distanza tra queste due stanze diventano gli unici metri che faccio avanti e indietro, per sciogliere un po’ i muscoli. Colazione, pranzo e cena lasciati alla dovuta distanza, sono l’immagine di una condizione, per ora e per fortuna, solo spiacevole. Vedremo. Tengo duro, come il resto dell’Italia.

Quattordici giorni sono passati – E’ lunedì 23 marzo. Ho trascorso quattordici giorni, come stabilito dalla procedura, nella mia camera, disinfettando le superfici e stando lontana dai miei genitori . Tra un medico di base che dice che “va tutto bene e si può tornare alla normalità”, almeno in casa, e un altro che ipotizza di “continuare l’isolamento per almeno altre due settimane”, la situazione adesso è ancora più complessa rispetto a quando è iniziato tutto. Richiamo il numero verde per la Toscana, rifaccio la coda telefonica di 30 minuti e alla fine riesco a parlare con l’operatore. «Mi scusi mi chiarisca una cosa » domando «adesso, dato che il tampone nessuno me lo ha fatto, nonostante ci fosse la possibilità dato che mi avete inserita in lista, io come mi dovrei considerare? Guarita? Ancora potenzialmente pericolosa per chi mi sta intorno? e i miei genitori, che comunque hanno vissuto in casa con me tutto questo tempo cosa devono pensare e soprattutto fare? Posso andare a fare la spesa o in farmacia?». Le risposte sono state vaghe. «La situazione dal 7 marzo in Toscana è cambiata» questa la cosa più emblematica che mi risponde l’operatore. E’ peggiorata per l’esattezza. Il numero totale di casi positivi è salito a 2277 e quelli dei morti, a 91. Chiudo la chiamata capendo che anche dall’altra parte del telefono non si ha chiaro cosa dire. Ancora meno cosa fare.

Trentanove giorni sono passati – E’ sabato 18 Aprile e forse dalla reclusione di casa mia non mi rendo conto di cosa è cambiato. Ah sì, una cosa è cambiata. Ho chiesto ad un amico medico di famiglia di farmi un test sierologico. Fermi tutti. Non ho privato nessuno del test (garantito in toscana atraverso lo sportello CupSolidale), l’ho pagato. Il dottore lo aveva ordinato privatamente su internet da un’azienda di Taiwan. Lo aveva fatto per i suoi pazienti, deboli a causa della malattia che cura, e a cui è andato a farlo a casa. Un modo per rassicurarli, nonostante i dubbi dichiarati sull’attendibilità dell’esame sierologico. Chiamatela amicizia, se volete. Per me è deontologia professionale. Costo del test: 6 euro ( attraverso il sistema sanitario ne costa 25). Attendibilità del test, tutta da accertare. I test su un nuovo virus (ancora sconosciuto a una buona fetta della comunità scientifica) non promettono il 100% di certezza sul risultato. A dire il vero, il 100% non esiste, in quanto un margine di errore è sempre contemplato. Il test dovrebbe mostrare la presenza di anticorpi nel sangue. In solo 15 minuti fornisce il risultato, come un test di gravidanza. Una linea sulla “C” , il test è negativo. Una in corrispondenza degli IgM vuol dire che si sono sviluppati gli anticorpi prodotti nella fase iniziale dell’infezione e si ritrovano nel sangue a partire, in media, da 4 o 5 giorni dopo la comparsa dei sintomi e tendono poi a scomparire nel giro di qualche settimana. E infine una linea in corrispondenza degli IgG,  mostra altri anticorpi prodotti più tardivamente che si ritrovano nel sangue a partire, in media, da un paio di settimane dopo la comparsa dei sintomi (ma possono comparire anche prima) e permangono poi per molto tempo.

Quindi?. E’ apparsa la C: risultato negativo. Se appare solo la linea di controllo qualità (C) significa che non è stato rilevato nessun anticorpo COVID-19. Questo significa che al momento del test non è presente un’infezione da coronavirus. L’ho contratto in forma lieve e non ho sviluppato anticorpi a sufficienza? Non si sa. Gli anticorpi scompaiono nel tempo?Chi può dirlo. Sono immune? Ah bè questo poi è tutto da stabilire. Ma l’ho mai preso quindi?. Non so dirlo. E’ cambiato qualcosa? No, perchè io rimango a casa.

Ma facciamo un passo indietro – Ho avuto febbre, dolori fisici (molto forti) e la perdita totale di olfatto e gusto, poi lentamente riacquistati. Venivo da una zona rossa. Mi sono auto-denunciata, auto-isolata, e auto-curata. Mi sono anche auto-testata e a Firenze qualcuno aggiungerebbe: “e poi? Un sonino?”. In Italia fino a qualche settimana fa, quando una “ripartenza in fase 2” non era ancora contemplata si diceva: “Bè ma il test non fa mica la differenza, mica ti cura”. E io qui mi ripeto: la differenza la fa.