Sintesi, precisione e ironia. In 140 caratteri, spazi compresi. Passano i secoli, ma “Da Tacito a Twitter”, la scrittura rapida ha sempre un sapore moderno. A sostenerlo è Beppe Severgnini, scrittore e giornalista del Corriere della Sera, che mercoledì 8 maggio ha tenuto una lezione al Master di Giornalismo della Scuola Walter Tobagi. «Nella scrittura, come in tutte le forme di comunicazione, le parole superflue non sono inutili: sono dannose» racconta agli studenti, dipingendo un vero e proprio “elogio della brevità”.

“Less is more” insegnano gli inglesi, e quella della sintesi è una vera e propria arte, da apprendere e coltivare, per arrivare all’essenzialità comunicativa. «La semplicità è frutto di fatica, anche di scrittura», spiega Severgnini, sottolineando come «molti, in particolare la sinistra italiana, abbiano fatto finta che dietro l’oscurità di alcune frasi si nasconda profondità, e visto nella confusione una ricchezza di argomenti». Compito dei giornalisti è -invece- aiutare i lettori a capire, assisterli nella gerarchia delle notizie, perché «la sintesi è il cuore del nostro mestiere».

Un dono prezioso, frutto di pazienza e applicazione, che non perdona. «A essere brevi non si sbaglia, ma un errore può generare il caos» avverte, mettendo in guardia gli studenti dall’abbandonare alcune regole fondamentali della professione. E la penna di Indro Montanelli, che non si dimenticava mai di essere “prima di tutto un grande tecnico”, è l’esempio migliore per chi si avvicina oggi alla professione. «La sintesi è spietata e Twitter agisce come una macchina della verità» continua, sottolineando come «anche uno spazio dimenticato dopo la virgola possa pregiudicare un pensiero o un’opinione».

Compagna di strada della brevità è la precisione, da tenere distinta dalla pignoleria. «La prima non è solo una sana consuetudine lavorativa, ma è anche un atteggiamento verso le persone e le cose. La seconda non ha scopi». Cercare, preparare, controllare sono tre attenzioni che non possono mancare nella scatola degli attrezzi dei giornalisti, in particolare «oggi in un mercato del lavoro che offre sempre meno e chiede sempre di più, dove non c’è spazio per il pressapochismo e per il più o meno».

Nemmeno nell’ironia, che per funzionare deve essere esatta. Se la scrittura è il luogo dell’esattezza, «il sorriso è un’ottima sintesi» conclude Severgnini. In 140 caratteri non può mancarne un pizzico per abbassare le difese con chi ascolta, ricordando che «l’ironia è figlia della precisione, sorella laica della misericordia e cugina della brevità. È la spezia che rende appetitoso il pezzo, ma non è umorismo».

Silvia Morosi