In Cina nasceranno banche private entro la fine dell’anno: per ora meno di cinque, il governo non ne permetterà di più, ma se gli istituti non daranno problemi potrebbe essere l’inizio di una liberalizzazione. Lo ha annunciato la China Banking Regulatory Commission, l’ente che regola il sistema bancario, che da luglio ha discretamente incitato compagnie a investire nel settore. Fino a questo momento il credito è stata prerogativa statale, con le 16 banche del Paese controllate al 95 per cento dal governo centrale o locale. Secondo quanto riportato dall’agenzia Nuova Cina, l’apertura di banche private permetterà un maggiore afflusso di capitali sia interni che stranieri, e con i capitali privati si potranno ristrutturare istituzioni bancarie già attive o crearne nuove.
Per la creazione di un istituto si stimano siano necessari 500 milioni di yuan (più di 80 milioni di dollari), ma la cifra non ha scoraggiato gli aspiranti banchieri: attualmente, come riporta il South China Morning Post, sono una trentina le candidature per ottenere la licenza bancaria, con una rosa di dieci compagnie favorite tra cui la Suning Commerce e la Beijing Centergate Technologies. Un entusiasmo giustificato dagli alti profitti delle banche, secondo l’Accademia cinese di Scienze sociali, che però cela il rischio di un comportamento temerario nella gestione degli investimenti. Anche per questo, nonostante l’apertura, gli istituti privati-pilota saranno sottoposti a un ferreo controllo fin dalla creazione, con licenze limitate (potranno agire nei limiti della provincia di registrazione) e un sistema molto stretto di controllo del rischio e di supervisione da parte delle autorità. Alcuni di questi test, indirizzati anche all’allentamento delle politiche sullo yuan, saranno realizzati nella free Trade Zone di Shanghai, operativa da qualche mese.
Tra le altre ragioni che hanno portato a questo passo vi è l’allargamento del credito alle Pmi, nell’ottica di supportare la trasformazione economica cinese: fino ad oggi, il finanziamento è stato diretto alle gradi imprese governative, trascurando le imprese più modeste ma capaci di creare lavoro.
Eva Alberti