«Il Trattato è molto chiaro: la detenzione e la gestione delle riserve spettano esclusivamente alle banche centrali nazionali, e la Banca d’Italia non fa eccezione». La presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde è tornata sul tema dell’oro italiano rispondendo così a una domanda dell’eurodeputato M5s Pasquale Tridico durante un’audizione presso la Commissione economia del Parlamento europeo. Due giorni dopo il parere scritto della Bce, Lagarde ha voluto sollecitare prudenza: l’emendamento alla legge di Bilancio che puntualizza la proprietà pubblica delle riserve auree italiane andrà modificato.

L’emendamento – «Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano», si leggeva nella modifica proposta dal deputato di Fratelli d’Italia Lucio Malan. Un emendamento «inutile perché ovvio», come lo ha definito lo stesso autore, che ha tuttavia creato un cortocircuito politico e istituzionale. «Si tratta di stabilire un principio e infatti l’ultima versione è una norma interpretativa. Le riserve sono sempre state del popolo italiano, poi sappiamo benissimo che sono gestite e detenute da Bankitalia», ha detto Malan. La disposizione «non è accompagnata da alcuna relazione illustrativa che ne illustri la ratio», ha risposto la Bce, «non è chiaro quale sia la concreta finalità della proposta».

Le riserve – L’oro infatti è già dello Stato. E non è poco: 2.452 tonnellate, costituito prevalentemente da lingotti (ben 95.493) e in parte minore da monete, per un valore complessivo iscritto a bilancio di 200 miliardi di euro e un valore di mercato arrivato a 280 miliardi con il prezzo della materia prima in continuo aumento. La Banca d’Italia è la terza banca centrale al mondo per dimensione della sua riserva d’oro fisico, dopo Stati Uniti e Germania, e il quarto detentore di oro al mondo dietro Bundesbank, Federal reserve e Fondo monetario internazionale. Viene utilizzato in casi emergenziali per mantenere la stabilità della moneta nel caso di crisi finanziarie o valutarie. Con la nascita dell’euro le riserve, come tutte quelle delle banche centrali Ue, sono state vincolate alle funzioni di politica monetaria, affidate al Sistema europeo di banche centrali e alla Bce. Non viene mai fatto riferimento alla loro proprietà, da considerare implicita, ma per l’indipendenza delle banche centrali dal governo e dal parlamento il loro controllo non può essere ceduto. L’oro italiano, come le altre riserve europee, non è solo a servizio della stabilità economica del suo paese ma anche di quella di tutti i paesi che aderiscono all’euro. L’emendamento rischierebbe di creare un precedente pericoloso nel continente: aprirebbe la strada all’utilizzo delle riserve per materie di competenza dei governi nazionali, rinnegando la cessione di sovranità monetaria alle istituzioni comunitarie, ma anche l’indipendenza delle banche centrali dalla politica. Entrambi, questi ultimi, principi fondamentali del documento di Francoforte che regola la politica monetaria europea.

Riscrittura – Il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, che già aveva espresso dubbi in un parere tecnico sull’emendamento il 28 novembre, ora è al lavoro su una nuova formulazione. I tecnici stanno lavorando a una soluzione in sintonia con Banca d’Italia che finirà sul tavolo della Bce prima della proposta ufficiale, come da regolamento. Le opposizioni hanno espresso soddisfazione, con il responsabile economia del Pd Antonio Misiani che ha sottolineato come la norma fosse «fuori dal mondo» e come danneggiasse «la credibilità del nostro Paese». Più stupita la reazione di FdI ai moniti delle istituzioni comunitarie: il deputato Francesco Filini si dice sorpreso per «l’allarmismo nato intorno a un emendamento che ribadisce un principio normale». Ma la polemica è destinata a placarsi. Per quanto riguarda la riformulazione, «non l’ho ancora letta, ma immagino che l’accetterò», ha detto Malan.