Il Recovery Plan è pronto: 221,5 miliardi e cinque riforme, con energia verde e digitalizzazione al centro. Mario Draghi ha riscritto il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che dovrà sfruttare le risorse europee per rilanciare l’Italia post coronavirus, e ora siamo al giro di boa. Nella giornata del 22 aprile è in programma un incontro tra il premier e i ministri tecnici più coinvolti dal Piano, il giorno dopo ci sarà l’approvazione del Consiglio dei ministri. Lunedì 26 e martedì 27 Draghi sarà in Parlamento per illustrarlo alle Camere, e infine, il 30 aprile, lo invierà alla Commissione di Bruxelles. Una settimana cruciale per l’Italia, che entro l’estate dovrebbe ricevere i primi 27 miliardi dall’Europa. Ma come sarà il nuovo Pnrr?

Parole d’ordine – Nella bozza in attesa di approvazione ci sono 300 pagine di progetti, 191,5 miliardi di fondi europei da impegnare entro il 2026 e altri 30 presi dal fondo complementare nazionale, che saranno utilizzati per finanziare opere infrastrutturali aggiuntive. Due gli obiettivi di Draghi: riparare i danni economici e ricucire un tessuto sociale provato da oltre un anno di pandemia; risollevare il Pil del Paese, muovendosi nella prospettiva di ripagare quanto prima l’enorme debito pubblico accumulato per far fronte all’emergenza. Secondo le stime del Ministero dell’Economia, gli indici di crescita del prodotto interno lordo per il periodo 2022-2026, grazie al Recovery europeo, sarebbero maggiori del 1,6%, cifre destinate a raggiungere il 3% superati i quattro anni.

Daniele Franco

Il Ministro dell’Economia Daniele Franco

Riforme e missioni – Le riforme sono al centro del Pnrr, conditio sine qua non dettata direttamente dall’Europa. Saranno cinque: giustizia, fisco, semplificazione normativa, concorrenza e pubblica amministrazione. Proprio quest’ultima sarà fondamentale per l’attuazione del Piano, e sarà la prima a entrare in vigore. Sono sei invece le missioni entro cui sono raggruppati i progetti: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; transizione ecologica e “rivoluzione verde”, con l’idrogeno in prima linea; infrastrutture per una mobilità sostenibile, che comprende anche lo sviluppo di una rete ferroviaria ad alta velocità; inclusione e coesione sociale; salute; istruzione e ricerca. Particolare attenzione sarà dedicata alla “questione meridionale”, con il 40% delle risorse totali volto a ridurre le disuguaglianze tra Nord e Sud, così come a favorire l’occupazione delle donne e quella giovanile. La quota maggiore dei fondi, il 30% (ovvero circa 67 miliardi), resterà comunque finalizzata alla transizione ecologica.

Spine – In un Piano pronto a partire, restano però i nodi politici. La famosa “governance”, che già aveva fatto traballare il governo Conte, resta nelle mani di Daniele Franco e del suo Ministero dell’Economia, con il compito di monitorare le spese e la corretta attuazione di investimenti e riforme. Ma il Parlamento, proprio come qualche mese fa, chiede maggiore considerazione, e sul tavolo c’è ancora l’organismo (che avrà comunque al suo vertice il premier) a cui è richiesta la supervisione politica del Piano. I partiti di maggioranza chiedono che anche i loro ministri siano presenti, almeno a rotazione, nelle stanze di Palazzo Chigi, in base ai temi che verranno affrontati. A maggio i nodi verranno al pettine, con un decreto legge pronto a sciogliere le perplessità dei partiti.