Condanna della repressione violenta delle manifestazioni per Navanlji e replica alla Cina dopo le minacce a Taiwan: queste le prime mosse in politica estera del nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden. In primo luogo, il Dipartimento di Stato ha chiesto il rilascio dell’oppositore arrestato in Russia il 17 gennaio e di tutte le persone detenute “per aver esercitato i loro diritti universali”. La nuova amministrazione ha anche difeso l’isola che aveva denunciato il sorvolo del suo spazio aereo da parte dei bombardieri di Pechino: “Sollecitiamo a cessare le pressioni militari”.

Il confronto con Putin – Il nuovo inquilino della Casa Bianca è pronto a prorogare per altri cinque anni il trattato New Start per il controllo degli arsenali nucleari firmato nel 2010 da Barack Obama e dal presidente russo Dmitrij Medvedev. Ma vuole anche irrigidire la linea di Donald Trump nei confronti di Vladimir Putin. La nuova amministrazione americana si prepara così a nuove sanzioni legate alle interferenze russe nelle elezioni presidenziali, ai cyberattacchi (l’ultimo scoperto a dicembre), alle violazioni dei diritti umani e all’avvelenamento di Aleksej Navalnyi.

Lo scontro con Mosca – Proprio in occasione delle proteste di sabato 24 gennaio per l’arresto del dissidente, il Cremlino ha accusato l’ambasciata americana di aver interferito negli affari interni per aver pubblicato le aree delle manifestazioni così che i cittadini statunitensi potessero evitarle. Il Dipartimento di Stato Usa ha invece “condannato con forza l’uso di metodi brutali contro manifestanti e giornalisti in questo weekend in diverse città della Russia”. Il ministero che sarà guidato da Anthony Blinken, dopo l’approvazione del Senato del suo incarico, ha chiesto a Mosca di rilasciare “in modo incondizionato” Navalnyi e “tutte le persone detenute per aver esercitato i loro diritti universali”. Washington ha ricordato che tali diritti sono scolpiti “non solo nella costituzione russa ma anche negli impegni di Mosca verso l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea (Osce) e verso la dichiarazione universale dei diritti umani, nonché nei suoi obblighi in base al Patto Internazionale sui diritti civili e politici”, un trattato ratificato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1966 ed entrato in vigore nel 1976. La nuova amministrazione ha anche promesso che starà “a fianco di alleati e partner in difesa dei diritti umani”, alla vigilia del Consiglio europeo che deve decidere eventuali sanzioni invocate soprattutto dai paesi Baltici (Lituania, Lettonia ed Estonia) e dalla Polonia.

La chiamata con Macron – Proprio ieri, 24 gennaio, Joe Biden ha fatto la prima telefonata da presidente ad un leader dell’Unione Europea, dopo quelle ai leader dei due Paesi vicini (Canada e Messico) ed al primo ministro britannico Boris Johnson. Il nuovo inquilino della Casa Bianca ha parlato con il francese Emmanuel Macron concordando di “lavorare insieme sulle priorità comuni di politica estera, compreso il Medio Oriente,  la Russia, il Sahel e la Cina“. 

Taiwan vista dall’America – Proprio il Dragone avrebbe fatto entrare il 23 gennaio vari jet e bombardieri cinesi nella zona di difesa aerea di Taiwan. Alla denuncia dell’isola dove si rifugiarono i nazionalisti cinesi nel 1949, si è aggiunto anche l’attacco del Dipartimento di Stato: “Gli Stati Uniti osservano con preoccupazione i tentativi in corso da parte della Repubblica Popolare cinese di intimidire i suoi vicini, inclusa Taiwan. Sollecitiamo Pechino a cessare le sue pressioni militari, diplomatiche ed economiche contro Taiwan. Noi saremo schierati con amici e alleati per promuovere la nostra comune prosperità e sicurezza nell’area dell’Indo-Pacifico e questo include un rafforzamento dei nostri legami con la democratica Taiwan“. Il neo segretario di Stato Anthony Blinken condivide infatti la linea dura dell’ex presidente Donald Trump contro la Cina, anche se vuole attuarla con metodi diversi e coinvolgendo gli alleati. Una politica che trova conferma nel primo storico invito dal 1979 della rappresentante di Taiwan a Washington Tsai Ing-wen all’Inauguration Day del 20 gennaio.

Taiwan vista dalla Cina – La posizione di Pechino su Taiwan “è coerente e chiara: c’è solo una Cina al mondo e Taiwan è parte inalienabile del territorio cinese”. Così ha replicato alle accuse il 25 gennaio il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian. “La Cina è ferma nell’opporsi risolutamente all’indipendenza di Taiwan e alle interferenze di forze esterne”, ha aggiunto Zhao. Pechino è disposta “ad impegnarsi nel dialogo e nelle consultazioni con tutti i partiti, gruppi e individui di Taiwan, sulla base politica dell’adesione al Consenso del 1992″ (secondo cui esiste un’unica Cina, un principio non confermato dall’attuale presidente di Taiwan Tsai In-wenndr). La potenza orientale esorta gli Stati Uniti a “rispettare” questo principio ed “a gestire in modo prudente e appropriato le questioni relative a Taiwan” astenendosi dall’inviare “i segnali sbagliati alle forze” che reclamano l’indipendenza. La questione della riunificazione ricorre infatti spesso nei discorsi ufficiali del presidente Xi Jinping. Inoltre, negli ambienti diplomatici si teme che il leader cinese possa far salire la tensione nello stretto di Taiwan proprio quest’anno, in occasione del centesimo anniversario della fondazione del Partito Comunista cinese, nato il 23 luglio 1921.