È la sera del 18 luglio 2024. Decine di migliaia di persone accolgono con applausi, grida ed ovazioni i suoi passi verso il podio centrale dello speech, mentre le note di una canzone country intitolata “America First” ne accompagnano l’entrata in scena. «Why don’t we liberate these United States / we’re the ones that need it worst?» – «Perché non liberiamo questi Stati Uniti / noi, che siamo quelli che ne hanno più bisogno?», intonano le parole del brano, mentre il pubblico festante agita un mare di cartelloni elettorali che, tra il nome di Trump e lo slogan “Make America great again”, riportano in maiuscolo anche il suo cognome. È la sera del 18 luglio 2024, e alla Convention Nazionale del Partito Repubblicano tenutasi nello Stato del Wisconsin, a Milwaukee, il giovane J.D. Vance, 40 anni solo due settimane più tardi, ha appena raggiunto una nuova, inaspettata, luminosissima vetta: tre giorni prima, il 15 luglio, the Donald ha rivelato sul suo social network, Truth (creato dalla Trump Media & Technology Group), che sarà lui, J.D., ad affiancarlo nel ticket presidenziale in corsa verso la Casa Bianca. Sarà lui, J.D., il candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti. I riflettori dell’arena di Milwaukee sono puntati su di lui, e con essi quelli del mondo intero. È il momento della sua nomina ufficiale, Vance saluta il tripudio di folla, sistema il microfono – ed è questa l’istantanea che meglio rappresenta ciò che J.D. incarna agli occhi dell’America: l’immagine vivente dell’American dream.

L’uomo del riscatto – Sì, perché la storia di J.D. Vance comincia molto lontano: è una storia di riscatto, di rivincita personale; è la favola del sogno americano che si realizza. Un passato difficile che ha lasciato segni persino nel suo stesso nome, e che Vance ha raccontato nel libro pubblicato nel 2016, Hilbilly elegyElegia americana, edito da Garzanti in traduzione italiana – un libro che ha avuto successo planetario, consegnando il suo autore alla fama letteraria internazionale, tanto che dal best seller è stato tratto anche un film di produzione Netflix e diretto da Ron Howard (2020). Un romanzo che, per citare il New York Times, costituisce «uno dei sei migliori libri per aiutare a comprendere la vittoria di Trump (del 2016)», e che, secondo la recensione del Los Angeles Times, «Ci apre uno squarcio sul dolore e la rabbia del popolo che ha votato per Trump». Un dolore che ritroviamo, in piccolo, nella prima giovinezza di Vance.

Hillbilly elegy. L’infanzia – J.D. Vance nasce col nome di James Donald Bowman il 2 agosto 1984 a Middletown, Ohio, da genitori d’origine scozzese-irlandese: Donald Bowman, il padre, e Bev Vance, la madre. L’infanzia di J.D. è segnata dal loro divorzio, dal succedersi di patrigni violenti, dalla tossicodipendenza e dall’alcolismo della madre. La situazione famigliare era così disastrata che di J.D. e della sorella si prendono cura i nonni materni, James e Bonnie Vance, dai quali per riconoscenza assumerà il cognome.

JD, l’ex Marine – Nel 2003, a diciannove anni, J.D. si diploma alla Middletown High School, e poco dopo si arruola nel Corpo dei Marines. Due anni più tardi presta servizio militare in Iraq come corrispondente di guerra per sei mesi. L’esercito: ecco il primo passo di emancipazione dalla povertà della Rust Belt, la cintura della ruggine, le fabbriche abbandonate e dismesse, rovinate dalla globalizzazione. Lui proviene da lì, e questo il suo primo tratto dalla forte valenza elettorale, in cui l’orgoglio patriottico dei cittadini stelle e strisce può rispecchiarsi.

L’underdog in Università – Nel 2009, all’età di venticinque anni, J.D. consegue una laurea summa cum laude alla Ohio State University con un Bachelor of Arts in scienze politiche e filosofia. Dopo questo importante traguardo, Vance si iscrive alla prestigiosa Yale Law School, dove un’insegnante lo incoraggia a scrivere le sue memorie, dando avvio così al suo noto romanzo autobiografico. Nel 2013 si laurea con un autorevole dottorato in giurisprudenza. J.D. il sottoproletario che scala fino ai piani alti delle élite intellettuali: ecco il secondo aspetto biografico – forse il più noto – che fa leva sull’elettorato americano più umile. Come egli stesso ha affermato nel TEDtalk del 2016, intitolato America’s forgotten working classLa classe lavoratrice dimenticata dall’America, in molte parti degli States il sogno americano rimane «davvero soltanto un sogno». In questo senso, la parabola di J.D. è la riaffermazione del diritto alle pari opportunità, alla «upward mobility», come dice lui, ossia all’ascensore sociale. Ricordando che la working class – segnata dalla crescente disoccupazione – non dev’essere dimenticata.

JD, il self-made man in finanza – Dopo Yale, Vance si trasferisce a San Francisco per lavorare nel settore tecnologico, e comincia in una società di venture capital, la Mithril Capital. Nel 2016 esce Hillbilly elegy, che vende centinaia di migliaia di copie. L’anno successivo entra a far parte della Revolution LCC, un’altra società di investimento, cui partecipa anche economicamente. Sempre nel 2017 Ron Howard acquista i diritti per realizzare la versione cinematografica di Elegia americana. Nel 2019, infine, Vance partecipa alla fondazione di Narya Capital, un fondo di venture capital per il quale riesce a raccogliere ben 93 milioni di dollari nel solo 2020. Questo un altro tratto biografico saliente: quello del businessman, un tratto che attrae le simpatie – e l’appoggio economico – dei numerosi imprenditori americani di orientamento conservatore.

JD, il politico – Nel 2016, l’anno della svolta, del boom di vendite di Hillbilly elegy e sull’onda della nuova visibilità d’autore, Vance si schiera apertamente contro the Donald, diventando un membro attivo del Never Trump movement, un movimento conservatore contrario alla figura di Trump e alla sua elezione a presidente, carica che tuttavia il tycoon conquistò proprio quell’anno. In diverse interviste, Vance definì Donald un «terribile candidato», che «sfrutta il razzismo presente nella società», che «sfrutta la paura delle persone, conducendole in una direzione assai oscura», al punto da paventare una sua ascesa ad «Hitler d’America». Nel 2021, Vance vince il seggio senatoriale nello Stato dell’Ohio, e l’anno successivo batte i propri rivali alle primarie del Partito Repubblicano, ottenendo questo importante successo grazie all’endorsement dello stesso Trump. Come il mercenario Saulo cadde da cavallo sulla via di Damasco e, folgorato dalla luce divina, si convertì d’improvviso al cristianesimo con il nome di Paolo, così Vance: dopo l’endorsement, J.D. si trasforma in un fedele sostenitore di Trump, ammettendo di essersi sbagliato, sul suo conto. Il tycoon lo perdona, dichiarando ad un comizio che quelle malvagità le avesse dette soltanto perché ancora non lo conosceva; ma poi J.D. si era «innamorato di lui». Al punto di sostenere, assieme a Trump, che le elezioni del 2020 fossero truccate.

L’avanguardia conservatrice – Così torniamo alla scena iniziale, alle mani che sistemano il microfono della Convention. Sta per parlare il candidato alla vicepresidenza USA, un uomo che porta una nuova ventata alla destra americana, uno che, per citare l’Introduzione di Hillbilly elegy, s’identifica «con i milioni di proletari bianchi di origine irlandese e scozzese», per i quali «la povertà è una tradizione di famiglia», i cui «antenati erano braccianti […] poi mezzadri, minatori e infine, in tempi più recenti, meccanici e operai». Uno che si identifica con quelli che «gli americani […] chiamano hillbilly (buzzurri, montanari), redneck (colli rossi) o white trash (spazzatura bianca). [E che lui chiama] vicini di casa, amici e familiari». Frasi che sembrerebbero toccare le corde di posizioni politiche opposte, quelle di estrema sinistra, ma che animano invece la nuova destra, di cui Vance è sicuramente divenuto uno dei massimi rappresentanti a livello globale.