«I’m back». La leggenda della boxe Mike Tyson, 58 incontri vinti su 50 in carriera, ha annunciato che ritornerà sul ring a quasi 54 anni. Lo farà per beneficenza, dice lui, e deve ancora scegliere l’avversario. Anche se le prime indiscrezioni parlano di una sfida con Evander Holyfield, pugile che l’ha sempre battuto in 2 incontri e che nell’ultimo, nel ’97, lo fece talmente innervosire da beccarsi un morso all’orecchio. Questo gesto, costato a Tyson la sconfitta e una lunga squalifica, è stato rievocato negli ultimi giorni proprio da Holyfield che dopo aver sentito l’annuncio del rivale ha lanciato la provocazione con un video: «Ho ancora l’orecchio». Facile pensare, allora, che oltre la raccolta  fondi per gli sfortunati, nella testa di Tyson, ritiratosi nel lontano 2005, ci sia altro: ad esempio, la voglia di vendicare una sconfitta mai digerita dimostrando di essere il migliore. Una motivazione che ha spinto molte volte grandi sportivi a ritornare in scena quando nessuno se lo aspettava, quando anche il fisico suggeriva di riposarsi. A qualcuno è andata bene come a Michael Jordan, che ha lasciato il basket e i suoi Chicago Bulls due volte, dimostrando al suo ritorno di essere ancora il trascinatore di una squadra leggendaria. A qualcun altro meno ,come al campione di tennis Bjon Borg, che dopo un ritiro prematuro a 27 anni, è tornato nel circuito 10 anni dopo senza vincere mai una partita. Poi ci sono le storie di Michael Schumacher in F1, di Pelé e Maradona nel calcio. Campioni che avevano vinto tutto, ma che per un motivo o per un altro, decisero di aver ancora qualcosa da dare e da dire.

The last dance – Chissà se Iron Mike ha guardato le ultime due puntate di The Last dance, serie che racconta la storia dei Chicago Bulls e della sua stella più luminosa, Jordan. Nei capitoli 7 e 8, usciti questa settimana su Netflix, si torna a metà anni ’90, quando Tyson era il pugile da battere e MJ decideva di lasciare l’Nba da padrone assoluto, scosso per la morte improvvisa del padre. Con i Bulls aveva già vinto tre titoli, così provò un’avventura nel baseball, lo sport preferito di papà James. E proprio quando i risultati iniziavano ad arrivare anche sul diamante dopo un anno e mezzo di battute a vuoto e qualche polemica dei media, Jordan si abbandonò alla nostalgia del parquet per dimostrare di essere ancora lui il numero 1. Tornò nel ’95 e vinse altri altri tre anelli, prima di ritirarsi nel ‘98. Sembrava finita, poi nel 2001 decise di riprendere, non con i Bulls, ma con la squadra di cui era diventato proprietario, i Washington Wizards. Stavolta niente anello, ma a 38 anni fissò il record Nba di giocatore più anziano ad aver superato 40 punti in una partita. Il suo ingaggio andò in beneficenza, a Jordan restò la soddisfazione di aver dimostrato alle nuove leve che con la palla ci sapeva ancora fare.

Maradona y Pelé- «Maradona è meglio e Pelé», cantavano i tifosi partenopei negli anni d’oro del Napoli, a fine anni ’80. Molti lo cantano ancora oggi, dando la loro sentenza a uno dei dilemmi più irrisolti dello sport. Calciatori diversi, epoche differenti, è invece la risposta più diplomatica di chi non vuole scegliere tra i due. In effetti Maradona e Pelé avevano poche cose in comune: fra queste ci sono sicuramente il gol e un ritorno al calcio in età avanzata. La perla nera dopo una vita al Santos e un anno di inattività decise di giocare in Mls, abbracciando i colori dei New York Cosmos nel 1975 in cambio di 4,5 milioni di dollari per tre anni. Fu probabilmente quella una delle prime operazioni di marketing per illuminare i palcoscenici americani, poco avvezzi al soccer. E la dote di Pelé fu di 37 gol in 69 partite. Quando invece Maradona tornò al Boca Junior nel ’95, probabilmente non c’erano solo motivazioni economiche. C’era la voglia di tornare alla sua squadra del cuore e forse di dimenticare l’onta della squalifica per doping nel mondiale del ’94 . In due anni non fece proprio il fenomeno, ma poté almeno salutare il calcio, tra la sua gente, dopo il Superclasico con il River Plate.

Borg e le vecchie racchette- Era l’uomo degli 11 Grandi slam, quasi imbattibile. Bjon Borg, Più di qualcuno però vociferava che il suo ritiro prematuro fosse dovuto all’incapacità di gestire la pressione e un giovane americano che lo faceva sudare a Wimbledon e presto avrebbe preso il suo posto, John Mc Enroe. Fatto sta che il campione svedese, 10 anni dopo aver detto basta, si ributtò nel mondo del tennis, provando una nuova scalata, armato delle sue vecchie racchette di legno, ormai superate. E i risultati non furono eccellenti: solo sconfitte al primo turno contro avversari di bassa classifica. Poi dopo l’ultimo match a Mosca contro Aleksandr Volkov, l’unico combattuto, decise di smettere, stavolta definitivamente.

Schumacher – Dopo essere diventato la leggenda della Ferrari, Schumacher fu ingaggiato nel 2010 dalla scuderia Mercedes appena costituitasi. Aveva passato i 40, veniva da 4 anni senza una gara ufficiale ma ci provò lo stesso prima di lasciare il posto a Lewis Hamilton: il suo bottino in 3 stagioni fu solo un terzo posto. Anche se in più occasioni dimostrò le sue abilità di pilota.