«Se non sarò stato capace di insinuarvi il dubbio, la mia coscienza di avvocato piangerà per sempre. Se non concederete la perizia, la vostra coscienza di giudici sarà attanagliata per sempre dal dubbio». Si conclude con un significativo gioco di parole dell’avvocato Claudio Salvagni la giornata di venerdì 14 luglio nella corte d’Appello di Brescia. Il penultimo appuntamento processuale prima delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato, Massimo Bossetti, e della sentenza attese per lunedì 17 luglio.

Il procuratore generale – Si inizia in ritardo. Un incidente stradale all’altezza di Seriate ha impedito ai presenti di arrivare in orario. Imputato e legali compresi. L’atmosfera è tesa, le tante incertezze sul caso lasciano ancora ampio spazio a discussioni. «La difesa costruisce a suo piacimento. Chiede risposte e ci sono, ma non quelle che desidera», dice il procuratore generale di Brescia, Marco Martani, che dà il via all’udienza dibattimentale riferendosi con tono secco ai legali dell’imputato. E va subito al punto. «La tesi che per identificare qualcuno sia necessario avere sia il dna nucleare che quello mitocondriale è una teoria che non ha fondamento. Dicono sia stato portato? Difficile pensare che il vero assassino abbia messo un patrimonio geneticò a metà», continua Martani che è deciso a smontare i punti della requisitoria toccati da Salvagni e Camporini, legali della difesa, nell’udienza precedente. «Hanno parlato di un picco durante il controllo negativo, ma tali picchi cambiano il risultato solo se sono numerosi non uno solo. Hanno messo in dubbio il nome dei Ris di Parma dicendo che i kit usati erano scaduti, ma lo erano solo i polimeri cioè alcuni reagenti la cui scadenza è una mera data commerciale. Chi ha detto il contrario, il Dott. Butler, l’ha fatto perché non ha ricevuto le domande giuste».

Passa punto per punto il procuratore generale di Brescia, ansioso di non tralasciare nulla. «L’osservazione delle celle telefoniche è chiara: i due cellulari, quello di vittima e imputato, agganciano la medesima. E non si può asserire che Yara e Bossetti andassero in direzioni opposte, perché non ne hanno agganciate di successive e quindi non è possibile desumere che una andasse a nord e l’altro a sud, come affermato dalla difesa».

Le parti civili – Poi la parola passa agli avvocato delle parti civili (la famiglia Gambirasio, ndr), Enrico Pelillo e Andrea Pezzotta. Marita Comi li ascolta, attenta e incredula allo stesso tempo. Il marito, invece, rimane impassibile. Solo un paio di volte si gira a guardarla per esprimere il proprio disaccordo con quanto detto. «Ho sentito dire tante cose in quest’aula per creare quel sensazionalismo che colpisce i giurati,» attacca Enrico Pelillo «prima fra tutte l’affermazione che siamo uguali al 99,999%. Non è vero. Lo siamo per il 99,6% e la differenza non è poca. Tutti i test necessari sono stati effettuati e le regole internazionali menzionate, hanno scordato di precisare, non sono state seguite perché cronologicamente successive alle prove svolte per la morte di Yara». E conclude: «Il dna non è l’unica prova. A questa si aggiungono tanti altri indizi che non hanno ancora trovato spiegazioni valide. Poi dobbiamo parlare di imprecisioni: nella fotografia satellitare che ritrae il campo di Chignolo d’Isola (luogo di ritrovamento del cadavere), dove viene mostrato che il corpo se fosse stato lì si sarebbe visto. Ma si fatica a vedere una strada di 3 metri come si potrebbe notare una ragazzina di un metro e mezzo?».

Pezzotta prende parola proprio dal caso della fotografia. «Non sarebbe possibile e non lo è stato fino a febbraio. Quando è accaduto per caso. Ma Yara è sempre stata lì, lo dimostrano anche le quattro essenze vegetali che stringeva nelle mani. Piante che si trovano in quel campo e che si pensa siano state strappate negli ultimi istanti di vita». Poi il legale torna sulla questione del patrimonio genetico: «Non serve avere il mitocondriale. La traccia 31G20, quella ritrovata sugli slip della ragazza, ha permesso di identificare ben 17 marcatori. Un numero sufficiente». Poi conclude: «È stato detto che non c’è un movente: concordo con i colleghi che sia un caso con implicazioni sadiche viste le ferite inferte, ma il movente c’è non si può negare ed è di natura sessuale. E per quanto fatto passare per padre di famiglia modello, Bossetti frequentava siti porno sadici e cercava su internet immagini di ragazze giovani e dei loro genitali. E la registrazione è necessaria».

La difesa – Frasi forti quelle che rimbombano in aula e che il microfono non aiuta ad alleggerire. Ma non sembrano far scomporre Massimo Bossetti che rimane impassibile e guarda i suoi avvocati. È il loro turno. Inizia Camporini che ribadisce come tante domande della difesa di fare approfondimenti non siano mai state accolte. “Tante le anomalie riscontrate in questo caso. Non vogliamo fare un processo ai tecnici ma siamo uomini e all’errore si può rimediare. Rifacendo i test. Se è stato detto che non mentono, perché un profilo genetico mi attesta la presenza di Bossetti mentre l’altro me la nega? Non è possibile scindere il mitocondriale, rimane anche nelle mummie,” ricorda Camporini con calma e prosegue «I siti visitati dal pc sono stati aperti per sbaglio, il mio assistito non si è mai registrato».

Termina la requisitoria l’avvocato Salvagni che invoca l’etica: «Noi crediamo fermamente in questa causa. E lo dimostriamo con i fatti: il corpo della ragazza presenta un tipo di deperimento (codificazione, ndr) che non è compatibile con la presenza in un campo. Lo dicono i consulenti non noi: la Dr.ssa Ranalletta e la Dr.ssa Cattaneo». Durante la requisitoria prende forza la voce del legale e si appella più volte alla giuria. «Tanti dettagli sono stati volutamente ignorati perché era più semplice, ma insieme a quello di Yara, nella traccia mista, c’è un altro dna minoritario che non è della ragazza né di Bossetti. Perché non è stato approfondito? Ci sono troppi dubbi e una solo punto fermo: un uomo che rischia l’ergastolo in un processo con senza certezze».