Paola Vita Finzi, ex professoressa ordinaria di Chimica organica e prima Pro-Rettore vicario dal 1993 al 2005 all’Università di Pavia, è nata a Milano nel 1932 in una famiglia ebraica. A causa delle leggi razziali e dei rastrellamenti nazi-fascisti, dopo l’8 settembre del 1943 ha trovato rifugio in Svizzera per poi ritornare in Italia dopo la fine della guerra.
Oggi è il giorno dello Yom ha Shoah, il ricordo degli ebrei uccisi durante l’Olocausto. Come celebra questo giorno la comunità ebraica?
Andiamo al tempio in una forma non religiosa, simbolica. Vengono letti tutti i nomi dei deportati e si accendono sei candele per ricordare i sei milioni di ebrei deportati nei lager nazisti. Una volta venivano accesi dai sopravvissuti e quindi adesso vengono i figli e i nipoti. Per mia fortuna ho avuto pochissimi parenti deportati. Quasi tutti si sono salvati in Svizzera.
Qual è un ricordo della sua fuga che si sente di condividere?
Molte persone non hanno capito cosa stesse succedendo, non erano pronte. I miei per fortuna avevano le idee molto chiare, conoscevano la situazione in Germania. Quando ci nascondevamo in Veneto, nel 1943, i ferrovieri che passavano dalla nostra cascina ci avevano raccontato che avevano visto un treno pieno di ebrei diretto in Germania. Abbiamo cercato di nasconderci ma non potevamo rischiare, l’extrema ratio era la fuga in Svizzera.
Sul confine tra l’Italia e la Svizzera c’era una rete che segnava il confine, su cui c’erano dei campanelli. Suonavano quando passavamo sotto. Era il 14 dicembre del 1943, abbiamo attraversato il confine con i contrabbandieri. Mia mamma ci aveva fatto vestire con due mutande, due golf, due pantaloni e un piccolissimo sacco. Il cambio vestiti è arrivato con la Croce Rossa in primavera.
C’è una ripresa dell’antisemitismo in Italia e nel mondo?
Non è così evidente ma da qualche mese ci sono episodi del genere anche in Italia. Come l’episodio di Ferrara, dove un bambino di origine ebrea è stato insultato e minacciato da un suo compagno. In Francia l’antisemitismo è più forte, si sente spesso parlare di lapidi profanate con segni nazisti. Fino ad arrivare all’ultimo episodio, la sparatoria nella sinagoga negli Stati Uniti, a San Diego. C’è sicuramente un rigurgito antisemita in giro per il mondo.
Rossana Rossanda, in una lettera comparsa sul Manifesto, chiede al presidente della Repubblica “una parola chiara” sul fascismo, in un periodo in cui i politici non prendono chiaramente posizione. Cosa ne pensa lei?
Dopo la liberazione, i fascisti nella funzione pubblica sono rimasti. E poi adesso ci sono questi gruppi come Casapound e Forza Nuova che fanno proselitismo. Non riesco a concepire che delle frasi dette da Mussolini siano ripetute oggi. Mi si rivolta lo stomaco. Secondo me al governo c’è qualcuno fa leva su questi sentimenti. Il presidente Mattarella è l’unico che può parlare in modo chiaro. Se non ci fosse lui saremmo allo sfascio più completo. Spero che dopo le elezioni europee del 26 maggio, questo clima teso di perenne campagna elettorale finisca.
Quale sarebbe il modo migliore, per lei, per combattere queste derive?
Il più grande pericolo è la diffusione delle notizie false che fomentano il razzismo nella società, soprattutto contro i migranti. Ma tantissime persone si sono integrate e pagano le tasse. C’è una responsabilità politica dietro alla diffusione del pensiero fascista e razzista.
Qual è per lei il diritto più importante?
Il diritto al lavoro, a una casa e a una vita normale. Finché ci saranno persone che vivono male e in povertà, non ci potrà essere nessuna vita sociale.