«Yuri Gagarin doveva essere il primo uomo a conquistare lo spazio. Ma, in realtà, il Politburo aveva in mente un’altra missione per lui: conquistare il mondo». Il sito della Bbc celebra così l’anniversario del primo viaggio di un uomo nello spazio. Sessanta anni fa, il 12 aprile 1961, l’Urss spedì l’allora ventisettenne astronauta oltre i confini dell’atmosfera terrestre. In piena Guerra Fredda, con il viaggio del giovane aviatore dalle umili origini l’Unione Sovietica strappava agli Stati Uniti una vittoria decisiva nella corsa allo Spazio. Poco conta se fu solo una battaglia – la guerra sarebbe stata definitivamente vinta dagli Usa solo qualche anno dopo con l’allunaggio di Neil Armstrong il 20 luglio 1969 -, il sorriso di Gagarin avrebbe intaccato – e forse ingentilito – per sempre l’immagine di una Russia severa e austera rispetto alla giovane e vincente America, conquistando la simpatia di tutto il mondo e delle generazioni a venire. Nel 2015 anche l’Unesco ha voluto onorare la storica missione istituendo “la giornata internazionale del volo dell’uomo nello spazio”.
Sixty years since the first man went into space https://t.co/gIssnvXDon
— BBC News (World) (@BBCWorld) April 12, 2021
Oltre i confini dell’Atmosfera – Alle ore 9:07, fuso orario di Mosca, del 12 aprile 1961 Gagarin dall’interno della navicella Vostok 1 (Oriente 1) esclama: «Pojechali!», ovvero «Andiamo!». Con quelle parole, dal centro kazako di Baikonur – lo stesso da cui ancora oggi partono le missioni con equipaggio dirette alla Stazione spaziale internazionale – ha inizio il suo viaggio: un’ora e 48 minuti per percorrere un intero giro ellittico intorno alla Terra. La velocità è di poco più di 27 mila chilometri orari, l’altitudine compresa tra i 175 e 302 chilometri. Dopo i 108 minuti che hanno segnato per sempre la sua vita e quella dell’umanità, Gagarin torna sulla terra ferma, atterrando in una campagna del Kazakistan. La missione è programmata in modo che tutto si svolga automaticamente, ma in realtà durante il rientro, qualcosa va storto e il cosmonauta rischia di morire. Si salva perché riesce ad abbandonare il razzo, lanciandosi con il paracadute a sette chilometri dal suolo. Ma anche un potenziale momento tragico finisce per contribuire al mito dell’astronauta giovane e ottimista. Gagarin ha raccontato di aver spaventato con il suo arrivo un contadino e sua figlia lì presenti e di aver tentato di tranquillizzarli semplicemente dicendo: «Niente paura – si legge su Bbc – sono un sovietico come voi, che arriva dallo spazio e ha bisogno di un telefono per chiamare Mosca».

German Titov, Nikita Chruš?ëv e Jurij Gagarin nella Piazza Rossa di Mosca (foto da Wikipedia, Dutch National Archives, The Hague, Fotocollectie Algemeen Nederlands Persbureau (ANEFO), 1945-1989)
“Il Cristoforo Colombo dello spazio” – «Vedo la Terra. È blu». Sono queste le parole pronunciate da Gagarin mentre si trovava in orbita, destinate ad essere riportate su tutti i libri di storia. Un ragazzo giovane, nato da padre falegname e madre contadina a Klušino, un piccolo villaggio della Russia europea occidentale. Una grande passione, il volo, che lo avrebbe portato a frequentare, nonostante il lavoro già avviato da metalmeccanico, diversi corsi di volo fino a entrare a far parte dell’aviazione russa. Poi, nel 1959 viene selezionato tra i candidati al primo volo nello spazio. La sua altezza, poco più di un metro e 50, era perfetta per le ridotte dimensioni della capsula installata nella Vostok 1. Ma verosimilmente fu soprattutto la sua aria da ragazzo qualunque e le fattezze gentili e bonarie a far ricadere la scelta su di lui: «Si diceva che il sorriso di Gagarin – riporta la Bbc – avrebbe potuto sciogliere anche i cuori di pietra e nemmeno i gradi più alti della potenza russa ne potevano restare indifferenti. Sergei Korolev – il capo progettista di razzi dell’Urss – lo chiamava la sua “piccola aquila”». Ironia della sorte, fu sempre il volo a portarlo via per sempre da questo pianeta: morì nel 1968, a soli 34 anni, a bordo di un caccia di addestramento. Un anno dopo Armstrong si sarebbe aggiudicato un altro primato, anche più significativo dal punto di vista delle dinamiche di potere tra le due potenze, ma nell’immaginario comune – mondiale e soprattutto russo – il titolo di “primo per sempre”, come lo ha definito il giornale russo Rossiskaya Gazeta, non gli potrà mai essere sottratto da nessuno.