Sono 488 i giornalisti attualmente detenuti nel mondo. A rivelarlo è l’ong Reporter Sans Frontières (RSF) nel suo annuale bilancio sulle persecuzioni contro gli operatori dell’informazione. È il numero più alto mai registrato negli ultimi 26 anni, ovvero da quando nel 1995 l’organizzazione impegnata nella difesa della liberà di stampa pubblicò il suo primo rapporto.

Il report – Dei quasi cinquecento giornalisti al momento detenuti a causa del loro lavoro, sessanta sono donne, il 20 per cento in più rispetto al 2020. Altri 65 sono in ostaggio. Un record negativo, rispetto al quale – riporta il comunicato di RSF – hanno avuto un peso determinante le vicende politico-militari che hanno interessato nello specifico tre «regimi dittatoriali»: Bielorussia, Myanmar e Cina. Diminuisce però il bilancio delle vittime: sono stati 46 i giornalisti uccisi nel 2021. È il numero più basso registrato negli ultimi 20 anni.

La «più grande prigione di giornalisti al mondo» – La Cina di Xi Jinping, secondo i calcoli di RSF – con 127 operatori dell’informazione in carcere –, è per il quinto anno consecutivo il Paese con il maggior numero di giornalisti detenuti, «la più grande prigione di giornalisti al mondo». Non solo in assoluto, anche per quanto riguarda le giornaliste donne. Delle sessanta attualmente detenute nel mondo, ben 19 si trovano nelle carceri cinesi. Tra queste anche Zhang Zhan, la prima giornalista cinese a essere stata condannata per il suo lavoro di informazione sulla gestione da parte del governo cinese della pandemia Covid-19. Catturata e torturata dalla polizia segreta cinese, ora sta scontando in carcere una condanna di quattro anni perché accusata di aver diffuso «false informazioni sui social media». Ma è soprattutto il giro di vite sulla stampa conseguente alla repressione delle rivolte di Hong Kong – si legge nel report – ad aver fatto lievitare il numero dei giornalisti detenuti in Cina.

Nel resto del mondo – Tra i Paesi responsabili di questo record negativo, anche il Myanmar (53 detenuti) e la Bielorussia (32 detenuti) di Alexander Lukashenko. Centrali sono stati il colpo di stato militare di febbraio 2021 nel primo e la rielezione del presidente nell’agosto 2020 nel secondo, attraverso quelle che la stessa Ue ha riconosciuto essere delle “votazioni falsificate” per la repressione operata da Lukashenko contro i suoi oppositori. Proprio il 14 dicembre Sergei Tikhanovsky, marito della leader dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaya, è stato condannato a 18 anni di prigione. Nella lista nera dei Paesi con il maggior numero di detenuti ci sono anche Vietnam (43) e Arabia Saudita (31).

Le vittime –  Bisogna risalire al 2003 per trovare un numero di giornalisti uccisi inferiore alle 50 persone. La diminuzione di quest’anno si deve soprattutto alla stabilizzazione della situazione in Medio Oriente (Siria, Iraq e Yemen). Ma anche – aggiunge RFS – all’impegno delle organizzazioni che difendono e promuovono la libertà di stampa, che ha reso possibile l’introduzione di più scrupolosi meccanismi di protezione nazionale e internazionale per i giornalisti.

Si muore ancora di giornalismo – In ogni caso, fare informazione implica ancora troppo spesso un rischio per la sicurezza inaccettabile. Circa un giornalista a settimana viene ucciso per il suo lavoro e nella maggior parte dei casi non si tratta di morti accidentali: RFS ha calcolato che il 65% degli omicidi erano stati premeditati. Questo è vero soprattutto in Messico e Afghanistan, ancora oggi i due Paesi più pericolosi per i giornalisti, con rispettivamente 7 e 6 morti, seguiti da Yemen e India al terzo posto, con 4 giornalisti uccisi ciascuno.