Il Marocco è a un passo dalla finale della Coppa del mondo di calcio, sulla sua strada però c’è la Francia di Kylian Mbappé. È la prima volta nella storia dei mondiali che una squadra africana arriva in semifinale. Dopo avere eliminato Spagna e Portogallo il Marocco si giocherà l’accesso alla finale mercoledì 14 dicembre, alle ore 20 italiane, contro les bleus. Il cammino dei Leoni dell’Atlante, impronosticabile alla vigilia, ha scaldato i cuori di molti appassionati e ha portato al centro dell’attenzione del mondo il Paese magrebino. «Come tanti altri Italo-marocchini e marocchini in Italia sto condividendo una grande gioia. Vedere la squadra del proprio Paese d’origine, una squadra africana e araba arrivare per la prima volta in semifinale è fonte di grande orgoglio», dice Karima Moual giornalista italiana nata a Casablanca.

«Le vittorie ai mondiali hanno portato al centro dei riflettori il Marocco ed è importante perché si conosce il Paese ma non solo, si racconta la sua storia e la sua comunità, specie quella dei migranti. Non a caso la nazionale è composta da ben 14 giocatori che sono marocchini di seconda generazione, figli d’immigrati che hanno scelto di vestire la maglia del proprio Paese. Una scelta simbolica molto forte. La Nazionale in questo senso tocca molti punti positivi e non possiamo che gioirne».

Lo scoglio che separa il Marocco dalla finale è la Francia. Una sfida dal sapore particolare. La Francia, oltre a ospitare più di 1 milione di marocchini, è stata anche la potenza coloniale che ha controllato il Marocco fino all’indipendenza del 1956. Per Karima Moual però questa visione è superata, anzi sono più le cose che accomunano i due stati di quelle che li dividono: «Non credo a quanto scritto su alcuni giornali per cui da una parte c’è un’ex potenza coloniale e dall’altra una nazionale di migranti. Piuttosto la Francia è una grande nazionale europea con un elevato tasso tecnico ma è composta, come il Marocco, da migranti di seconda generazione».

Foto Ansa

L’attenzione internazionale sul Marocco però non ha portato alla luce lo stato dei diritti umani nel Paese. Per l’organizzazione non governativa Freedom House lo stato africano è classificato come parzialmente libero. La strada per i diritti è ancora lunga, sostiene Moual, ma il cammino intrapreso è quello giusto: «I riflettori puntati vanno a beneficio dei Paesi coinvolti, non solo per essere conosciuti sportivamente ma anche come trampolino di lancio per quanto riguarda molte questioni, tra queste i diritti. Il Marocco, a differenza di Qatar e Arabia Saudita, è un Paese che ha avanzato molto su questa tematica negli ultimi anni, ma non è sufficiente. Più che il mondiale credo che siano le persone coinvolte e le persone vicine al di fuori del Paese ad avere il compito di spingere. Persone come me d’origine marocchina, orgogliose del proprio Paese ma cresciute in una democrazia, come l’Italia, ambiscono a vedere altri passi avanti del Marocco».

I caroselli di macchine organizzati dopo le vittorie del Marocco hanno mostrato una comunità orgogliosa che vuole farsi riconoscere. I festeggiamenti, come quelli di corso Buenos Aires a Milano, hanno coinvolto non solo marocchini ma anche italiani che simpatizzano per la squadra africana. Questo però per Moual non coincide direttamente con una maggiore integrazione della comunità marocchina: «Il sentimento più profondo non credo possa essere mutato da un mondiale. Può però essere il primo passo per cambiare la percezione verso una delle comunità arabo islamiche più importanti d’Europa. In particolare in Italia sul tema dell’inclusione e della percezione dell’altro siamo molto indietro. Una parte della società fortemente ideologizzata utilizza ancora il termine marocchino in senso dispregiativo».