Il prezzo del petrolio torna a salire dopo la scelta a sorpresa dell’Opec+ di ridurre la produzione. L’organizzazione dei principali produttori, nella sua versione allargata che include anche la Russia, ha deciso di tagliare oltre un milione di barili al giorno per tutto il 2023, dopo un altro rialzo dell’ottobre scorso. Trainate dai titoli energetici, le borse europee hanno aperto in cauto rialzo ma l’annuncio dell’organizzazione rischia di complicare lo sforzo delle banche centrali nel ridurre l’inflazione.

I tagli – La scelta dell’Opec+ è arrivata qualche minuto dopo l’annuncio da parte dell’Arabia Saudita: nel pomeriggio di domenica 2 aprile, il governo di Riyad ha fatto sapere che dal primo maggio taglierà la produzione di greggio di 500 mila barili al giorno. Intervistato dalla Saudi Press Agency, il ministro dell’Energia «ha sottolineato che si tratta di una misura precauzionale per salvaguardare la stabilità del mercato», per evitare un ulteriore calo del prezzo. La decisione saudita ha fatto da apripista a scelte analoghe di altri Paesi petroliferi. Gli Emirati Arabi Uniti ridurranno la produzione di 144 mila barili, l’Iraq di 211 mila, il Kuwait di 128 mila, il Kazakistan ha annunciato poi tagli per 78 mila barili al giorno, l’Algeria di 48 mila e l’Oman di 40 mila. La Russia ha invece prolungato il taglio della produzione che aveva già annunciato settimane fa. Questa scelta dell’Opec+ riduce dell’1% la produzione mondiale, con un taglio complessivo di 1,15 milioni di barili al giorno contro i 100 consumati quotidianamente.

Un giacimento di petrolio (Ansa)

Rischio inflazione – Nel 1973 la scelta dei Paesi mediorientali produttori di petrolio di tagliare la produzione, in risposta alla guerra dello Yom Kippur, aveva causato un rialzo dei prezzi del greggio che a sua volta generò una spirale inflattiva che in Occidente toccò la doppia cifra. Oggi il taglio è meno consistente e gli input energetici più diversificati, ma l’inevitabile aumento dei costi rischierà di rallentare il raffreddamento dei prezzi cui le banche centrali, con l’innalzamento dei tassi d’interesse, stanno lavorando da mesi. Dopo la scelta dell’Opec+, il prezzo del petrolio sale di oltre quattro punti percentuali: il Wti (West Texas Intermediate, un tipo di petrolio prodotto in Texas che funge anche da benchmark nel prezzo del greggio) raggiunge i 79,15 dollari, mentre il Brent avanza a 86,44 dollari. Per i timori legati alle crisi bancarie dello scorso mese, i prezzi del greggio erano fortemente scesi fino a toccare i 70 dollari al barile, il minimo da 15 mes, minacciando i bilanci dei produttori. L’aumento dei prezzi, oltre che sulla (lenta) riduzione dell’inflazione, impatterà anche su altri aspetti, tra cui il costo della benzina.

Borse in cauto rialzo – Dopo la decisione dell’Opec+, nella prima seduta della settimana le borse europee aprono in cauto rialzo. Londra è in positivo dello 0,7%, Milano dello 0,6%, Parigi avanza dello 0,4% e Francoforte dello 0,1%. A trainare l’incremento sono i titoli energetici: a Piazza Affari Saipem sale del 4,7%, Tenaris ed Eni del 4%. Le borse asiatiche si sono mosse in ordine sparso, con Tokyo, Sydney, Shangai e Shenzen in positivo, e Seoul e Hong Kong in lieve flessione. Le prospettive di un possibile aumento dell’inflazione pesano invece sui titoli di Stato, con il rendimento dei Btp che sale al 4,16% (in aumento di 8 punti) e lo spread che si attesta a 182 punti base.