C’è un grande assente al vertice delle Nazioni Unite sul clima di quest’anno. Tra i leader mondiali che rivedranno i loro impegni per ridurre le emissioni di carbonio al termine di un anno segnato da eventi climatici da record, sarà vuota la sedia del presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Il capo della Casa Bianca non volerà a Dubai perché è alle prese con la guerra tra Israele e Hamas e con le elezioni del 2024. Al suo posto parteciperà l’ex segretario di Stato e inviato speciale per i cambiamenti climatici John Kerry. Tra le priorità dell’agenda della COP28, in corso dal 30 novembre al 12 dicembre, ci saranno l’aumento dei finanziamenti per il clima e l’accelerazione della transizione energetica.

L’inviato speciale degli Stati Uniti per il clima John Kerry (flickr)

L’assenza di Joe Biden – Un annuncio atteso ma comunque sorprendente, visto il peso della lotta al cambiamento climatico nell’agenda nazionale e internazionale del presidente degli Stati Uniti. La notizia è arrivata dalla pubblicazione delle agende settimanali, diramate domenica 26 novembre dalla Casa Bianca: nessun cenno a incontri o presenze di Biden alla COP28. Nel programma della settimana del presidente, ci sono invece una visita ad Atlanta per una cerimonia in memoria dell’ex first Lady Rosalynn Carter, scomparsa questo mese, una in Colorado per promuovere gli investimenti americani nell’energia eolica, un incontro con l’omologo dell’Angola e l’inaugurazione dell’albero di Natale al Kennedy Center. Per gli Stati Uniti, insieme a John Kerry, parteciperanno i principali consiglieri per il clima di Biden, tra cui l’ex capo dello staff della Casa Bianca John Podesta. Secondo il Financial Times, la decisione di non partecipare alla conferenza potrebbe compromettere la posizione di Biden nei confronti dei giovani elettori democratici, che considerano il clima una questione di primaria importanza.

L’agenda della COP28 – Il vertice arriva a due settimane dal superamento record della temperatura media globale di 2 gradi e si concentrerà proprio sui progressi compiuti rispetto all’Accordo di Parigi del 2015, che mira a un aumento massimo del riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale di 1,5 gradi Celsius. Tra gli obiettivi dei Paesi, quello di rendere operativo il Fondo per le perdite e i danni, creato alla COP dello scorso anno per fornire assistenza finanziaria fondamentale alle nazioni più vulnerabili ai danni del cambiamento climatico. I quattro pilastri fondamentali per la COP28 stabiliti dagli Emirati Arabi Uniti (che la ospitano) sono transizione energetica,  finanziamenti per il clima, adattamento al clima e resilienza e inclusività. Intanto, i risultati del Global Stocktake, “l’inventario globale” delle Nazioni Unite, pubblicati a settembre 2023, mettono in evidenza come i governi non siano sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi stabiliti. Tuttavia, le politiche attuali hanno limitato lo scenario peggiore, che prevede un riscaldamento compreso tra i 4°C e i 6°C (7,2°F e 10,8°F) entro il 2100, e hanno ridotto di un grado il riscaldamento rispetto alle previsioni del 2015. Per raggiungere quello che viene chiesto dall’Accordo di Parigi sarebbe però necessario che le emissioni globali di gas serra diminuissero di almeno il 43% entro la fine di questo decennio.

La COP28 – L’incontro annuale della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, noto come Conferenza delle Parti (COP), sarà presieduto da Sultan Ahmed Al Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi Uniti, i più grandi produttori di combustibili fossili al mondo. Il Paese mira a posizionarsi come leader nella lotta al cambiamento climatico, ma è criticato per non aver assunto una posizione più decisa nella “graduale eliminazione” dei combustibili fossili. L’evento si preannuncia come il più grande di quest’anno a livello globale, con le oltre settantamila presenze previste dal Paese ospitante. Tra i partecipanti ci saranno funzionari governativi, leader del mondo economico e finanziario, sostenitori dei giovani, delegazioni delle comunità indigene e lobbisti e rappresentanti delle aziende produttrici di combustibili fossili, la cui presenza è sempre più forte agli incontri, tanto che alla COP27, tenutasi lo scorso anno a Sharm el-Sheikh, in Egitto, i delegati dei combustibili fossili erano più numerosi delle delegazioni di qualsiasi altro Paese.