È polemica sul blocco di Google Drive avvenuto nella serata di sabato 19 ottobre a opera di Piracy Shield, il software antipirateria di Agcom. Il cosiddetto sistema “anti-pezzotto” ha infatti bloccato per circa sei ore, dalle 17 di sabato, il dominio drive.content.google.com, impedendo a migliaia di utenti di modificare, scaricare e consultare i file salvati sul cloud dell’azienda di Mountain View. I disagi sono stati numerosi, con strascichi di malfunzionamenti anche nella giornata di domenica. La polemica è montata sia sul versante politico che sul versante tecnico, gettando dubbi sull’efficacia e sulla sicurezza della piattaforma di Agcom. Il Codacons ha presentato un esposto alla procura di Roma chiedendo il sequestro di Piracy Shield, sostenendo che l’oscuramento di siti legittimi costituisca un precedente pericoloso.
La piattaforma e il blocco – Piracy Shield è stata sviluppata dalla società Sp Tech e, con la legge 93 del 24 luglio 2024, è stata messa a disposizione dall’Agcom per la Serie A come strumento per contrastare la pirateria nell’ambito delle dirette sportive. Il software funziona grazie alle segnalazioni o ai ticket dei detentori dei diritti tv che vengono presi in carico dai fornitori di servizi internet e che portano al blocco dei domini incriminati entro mezz’ora dall’avviso. Un processo che si è attivato ai danni di Google Drive sabato pomeriggio, bloccandone il 70% del traffico. Lo spazio di archiviazione digitale dell’azienda americana, uno dei più utilizzati in Italia da privati, aziende, scuole e università, è rimasto di fatto inaccessibile agli utenti italiani.
Nessun controllo sulle segnalazioni – Immediata la risposta della politica, soprattutto attraverso la voce della deputata di Azione Giulia Pastorella, che ha dichiarato che presenterà un’interrogazione parlamentare per far luce su quanto successo. La stessa Pastorella, che ha contribuito alla stesura della legge 93, in un articolo del 3 aprile scorso pubblicato sul sito di Agenda Digitale e intitolato “Piracy Shield, tutte le falle dell’anti-pirateria di stato”, aveva illustrato i difetti della piattaforma, sollevando la questione dell’oscuramento dei siti legittimi. Già allora si individuavano falle tecniche e organizzative che gettano dubbi sull’applicabilità di uno strumento che molti esperti ritengono inattuale. A creare polemiche è proprio il sistema di blocco che parte in maniera automatica, spesso coinvolgendo diversi domini contemporaneamente. Non esiste infatti una lista di siti legittimi da tutelare nel momento in cui parte il processo (se non quelli che riguardano il funzionamento della piattaforma stessa). Tutto il resto, dominio di Google compreso, è esposto al rischio di subire segnalazioni erronee. Questo, unito all’assenza di un centro operativo della sicurezza (Soc) che ne coordini le attività, solleva un’importante questione di affidabilità della piattaforma: chi controlla le segnalazioni prima che entri in azione il blocco?
Le reazioni – Un problema che è arrivato anche in Parlamento, con degli emendamenti della maggioranza al dl omnibus che vorrebbero allargare lo spettro d’azione del Piracy Shield: contrari invece tecnici e opposizioni che si sono schierati per una più rigida regolamentazione della piattaforma. Il senatore del Pd Antonio Nicita, ospite di Matteo Flora in una diretta Youtube, ha sostenuto “la necessità di implementare le procedure di controllo e verifica per chi segnala”: chi fa partire l’avviso è infatti ad oggi coperto dall’anonimato, quindi, per esempio, non è noto il nome di chi ha incluso Google Drive all’interno del ticket di domini da oscurare. Anche il presidente della Associazione italiana internet provider Giovanni Zorzoni ha sottolineato che è necessario che ci sia un obbligo a conoscere chi effettua la segnalazione per tutelare anche domini di operatori più piccoli di Google che potrebbero fare capolino tra i siti da bloccare.