Se l’Europa e il resto del mondo stanno con gli occhi puntati sugli Stati Uniti in attesa di sapere chi sarà il nuovo presidente, i due candidati Kamala Harris e Donald Trump – per ragioni e secondo schemi diversi – hanno riservato solo uno sguardo periferico agli scanari globali. Hanno preferito concentrarsi sulle questioni interne. Salvo qualche rara eccezione, negli Stati Uniti la politica estera non è decisiva nelle elezioni presidenziali, ma forse mai le linee di indirizzo dei due schieramenti sono state così scarne sulla posizione che la Casa Bianca avrebbe assunto negli scenari stranieri.
I silenzi dem – Il programma elettorale ufficiale di Harris non menziona in alcun punto la politica estera. La parola “Europa” non viene mai citata. Il conflitto russo-ucraino è ricordato in un rapido passaggio, per l’impatto che l’invasione in Ucraina avrebbe avuto sull’aumento del costo del carrello della spesa per i cittadini statunitensi. In nessun passaggio viene definito il ruolo degli USA sul fronte medio-orientale. Non vengono mai citati Gaza, la Palestina, Israele, il Libano, l’Iran. Finito il tempo degli Stati Uniti come esportatori della democrazia, dai democratici non è stato ritenuto indispensabile parlare – nelle 76 pagine del programma elettorale – del diritto umanitario internazionale. La Cina viene vista in ottica competitiva nel commercio globale, accusata di seguire pratiche sleali. Se l’attuale vice presidente avesse voluto scrollarsi di dosso la sensazione di molti osservatori internazionali di avere delle lacune sulla politica estera, nella breve campagna elettorale di tre mesi l’intento sarebbe fallito.
Disattenzioni – L’accusa di molti potenziali elettori democratici è stata che la Casa Bianca sia stata troppo disattenta sull’emergenza umanitaria nella Striscia di Gaza. Costanti sono state le proteste ai comizi di Biden prima e di Harris poi. L’aspettativa di alcuni, per cui la linea della vice di Biden sarebbe stata più vicina agli interessi dei palestinesi, è stata disattesa. Le dichiarazioni della candidata sono state ritenute da parte dell’opinione pubblica piuttosto timide e ambigue. In passato ha sostenuto la necessità di un cessate il fuoco, ma ha anche dichiarato di recente: «Rafforzerò la leadership globale dell’America e sosterrò i nostri amici perché so che le nostre alleanze mantengono gli americani al sicuro e rendono l’America più forte e più sicura». Mentre sull’altro scenario caldo dell’Ucraina, a parole Harris si è detta disponibile a sedersi al tavolo delle trattative con la Russia purché ci sia rappresentata l’Ucraina. Non pare che l’amministrazione Harris si discosterebbe di molto rispetto al suo predecessore.
Chiarezza a destra – La piattaforma di Donald Trump sulla politica estera prende invbece posizioni molto nette e chiare. The Donald ribadisce ed esalta il motto “America first”. Poche parole ma definite. Nel paragrafo intitolato “Riportare la pace attraverso la forza” la risoluzione dei conflitti viene associata ai problemi sull’inflazione nell’economia americana: «La guerra genera inflazione mentre la stabilità geopolitica porta stabilità dei prezzi. I repubblicani porranno fine al caos globale e ripristineranno la pace attraverso la forza, riducendo i rischi geopolitici e abbassando i prezzi delle materie prime». Sempre nel programma elettorale, in linea con le dichiarazioni pubbliche, l’ex inquilino della Casa Bianca sostiene apertamente: «Staremo con Israele e ci impegneremo a portare la pace in Medio Oriente». La strategia per un nuovo equilibrio di pace per Trump non passa però solo dall’uso della potenza militare ma anche dalla «ricostruzione delle nostre reti di alleanze nella Regione»: un riferimento agli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi Uniti e USA, voluti dall’ex presidente repubblicano, che tendono a normalizzare i rapporti tra l’Occidente e diversi Paesi arabi attraverso patti diplomatici e commerciali.
Moniti all’Europa – Molto discusso in Europa è il monito di Trump agli Stati della Nato. I repubblicani si assicurerebbero che tutti i membri rispettino gli impegni sugli investimenti economici in armamenti a supporto della difesa comune, pari ad almeno il 2% del PIL (Prodotto Interno Lordo). Trump ha minacciato altrimenti di diminuire i finanziamenti Usa all’Alleanza. Secondo alcuni osservatori, l’ex presidente sarebbe anche pronto a uscire dal Trattato. Una eventualità che avrebbe delle immediate ripercussioni sul fronte ucraino. Il piano del leader repubblicano sarebbe di lasciare all’Unione Europea il compito di assistere Kiev. Trump non ha fornito troppi dettagli, ma ha sostenuto che risolverebbe la guerra «in 24 ore». All’ex presidente è stata attribuita la strategia per la pace per cui Zelensky dovrebbe promettere la rinuncia all’ingresso nella Nato. L’Ucraina dovrebbe inoltre riconoscere l’autonomia dei territori occupati dalla Russia nelle regioni del Donetsk e Luhansk, che dovrebbero essere demilitarizzate. Nel programma di Trump, il disimpegno nell’Alleanza appare inversamente proporzionale al rafforzamento della difesa interna. Agli elettori repubblicani viene promessa la costruzione di un grande scudo antimissilistico “iron dome” sul territorio americano. Il contrasto alla Cina verrà impostato sul piano commerciale, con l’imposizione di forti dazi.