«La misoginia e il sessismo che tratto nel mio ultimo libro, Il macellaio, sono tipici della cultura statunitense come recentemente dimostrato dalle elezioni. Stiamo regredendo sulla condizione femminile e questo rende il mio romanzo molto attuale, purtroppo». Durante il Noir Festival in corso a Milano, Joyce Carole Oates ha spiegato il significato del suo ultimo libro, il quindicesimo edito in Italia dalla Nave di Teseo.
Il racconto, ambientato nell’800 e ispirato a fatti realmente accaduti, ripercorre le pratiche del “macellaio” ovvero il dottor Silas Aloysius Weir, considerato il padre della Gino-Psichiatria e conosciuto per i metodi “medici” violenti ai danni delle donne. Un romanzo che si contraddistingue per la crudezza dei dettagli raccontati da Oates che si è basata sulle cartelle cliniche di tre medici vissuti tra il XIX e il XX secolo in America: «Uno di loro aveva una clinica per donne vicino a casa mia nel New Jersey di cui si possono ancora vedere le macerie». Eppure ancora oggi non si può leggere di queste tematiche con uno sguardo distaccato: «Negli Stati Uniti ancora oggi la violenza contro le donne è altissima e troppo frequente. Una violenza che pervade e caratterizza la società. C’è anche una vittimizzazione dell’uomo che accusa la donna di essere troppo forte. Invece le stime dicono il contrario: la prima causa di morte di una donna incinta è l’ambiente che le sta attorno e la persona che le sta vicino».

Elezioni americane – Intervistata da Antonio Monda, scrittore, direttore artistico e conduttore televisivo, Joyce Carol Oates ha anche dato la sua opinione sul risultato delle elezioni americane: «Trump ha vinto perché tanti non sono andati a votare. Abbiamo problemi con i giovani che non votano, che non sono interessati e il perché non lo sappiamo. Kamala Harris avrebbe dovuto vincere ma poi nei fatti non è successo. È facile dire che c’è stata una valanga di voti ma in realtà non è stato così perché Trump ha preso pochi voti in più rispetto alle penultime elezioni del 2020», ha continuato Oates. Ma quanto una donna si candida per una carica pubblica è consapevole che ha un handicap rispetto all’uomo: quello del genere. «È come se dovesse scalare una montagna con un peso ulteriore, nel caso di Harris peggiore perché è una donna nera – ha risposto Oates – Molti non sono andati a votare nonostante tanti temi interessassero come l’istruzione, la sanità, le armi. C’è stata un’apatia dell’elettorato. Ma il fattore del genere è quello che ha inciso maggiormente: è controintuitivo pensare a una donna al comando. Una donna come leader sembra ancora innaturale, così come come nella gerarchia ecclesiastica: il papa è uomo, Dio è raffigurato come uomo. Harris ha perso il sostegno di cui godeva Biden, Clinton prima di lei aveva tutte le carte in regola per vincere ma in realtà ha vinto l’inconscio collettivo che fatica a immaginare una donna al comando».

Il premio Raymond Chandler – Alla scrittrice americana, nata a Lockport nel 1938, è stato conferito il Raymond Chandler Award, premio alla carriera per gli autori di noir e thriller. Nel contesto del Noir in Festival e in collaborazione con la Milanesiana, l’evento si è svolto al Teatro Parenti, alla presenza di Tommaso Sacchi, assessore alla cultura del comune di Milano, che ha premiato la scrittrice, Elisabetta Sgarbi, direttrice della Milanesiana e Marina Fabbri e Giorgio Gosetti, direttori del Festival. Joyce Carol Oates che nelle motivazioni del premio è stata descritta come “sublime ingannatrice del tempo, sia nell’aspetto di eterna ragazza sia nella sua scrittura potente e cristallina che non scende a nessun compromesso”, ha accolto il premio con entusiasmo: «Ho avuto una scusa per venire in Italia, grazie. Sono contenta di rappresentare il genere noir e sono onorata di ricevere questo premio dedicato a Chandler di cui ammiro la suspense e che l’abbia vinto Graham Green prima di me con cui condivido l’etica e i valori». Un genere letterario, quello del noir, specifico e affascinante, in grado di raccontare anche la società nel suo insieme: «Il thriller è il veicolo, il noir è il paesaggio», ha dichiarato Oates davanti al pubblico del Parenti.

Il macellaio – L’ultimo romanzo di Oates, pubblicato il 26 novembre dalla Nave di Teseo, ripercorre il genere gotico e l’ambientazione ottocentesca che l’autrice ha cercato di ripercorrere anche nello stile: «C’è una prefazione tipica dei romanzi dell’800, un prologo iniziale dove lo scrittore spiega al lettore cosa troverà nelle pagine seguenti. Un prologo di questo tipo si trova anche in Frankenstein di Mary Shelley». Ma le efferatezze raccontate hanno un fondamento nel fatto che la scienza senza morale diventa mostruosa, «è questo il senso del libro?» ha chiesto Monda a Joyce Carol Oates: «Sì, il motivo per cui ho affrontato l’argomento è che le memorie dei medici che ho consultato, che possiamo considerare macellai, alla loro epoca erano riverite. Erano considerati padri della moderna ginecologia, ma in realtà usavano donne schiave nere o persone in servitù. Moralmente vediamo quanto è ambiguo il patriarcato che porta sull’altare questi pionieri con comportamenti mostruosi».

Tanto che, ha continuato Oates, il disturbo mentale di una donna veniva spesso collegato con un’infezione di un apparato genitale: «La ricerca che ho condotto negli anni passati mi ha fatto scoprire la storia della pazzia (come se fosse demoniaca). Il “progresso” era pensare che la pazzia fosse causata da un’infezione. Molti medici consideravano che la causa della pazzia fosse collegata con il fisico, spesso si estraevano denti per curare. O l’utero era sede di infezioni pericolosi: ad esempio, ho scoperto che una donna fu operata 30 volte per rimuovere la “pazzia”». Di che malattie mentali si parla però? Le donne che non volevano avere figli o che non indossavano abiti  femminili si pensava fossero pazze. La malattia mentale era solo interpretazione e le ragazze che non si conformavano era considerate malate. Oggi sappiamo che la causa è di origine biochimica e che può portare ad episodi psicotici. Oates ha concluso con un cenno al film di Paola Cortellesi C’è ancora domani, vincitore del Nastro d’argento come miglior film 2024: «Una storia brillante sull’empowerment femminile contro l’abuso maschile. La resa è stata meravigliosa e il finale bellissimo. Un film imprevedibile».