«In sintesi, Matteo, sai che io son sempre stato leale, con te. Se non parliamo più del Nord, al Nord noi i voti non li prendiamo più». Scoppia uno scroscio immediato di applausi, all’Hotel Sheraton di Milano, zona San Siro, fra chiassose ovazioni e le grida di giubilo «Bravo! Bravo! Bravo!». A parlare è Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega in Senato e neoeletto segretario della Lega lombarda. Davanti a lui, sul podio, spicca la spada sguainata al cielo del condottiero Alberto da Giussano e le parole d’ordine «RADICI / IDENTITÀ / FUTURO». La cornice è quella del congresso regionale, tenutosi a partire nella mattinata del 15 dicembre alla presenza di numerosi militanti e di figure-chiave della Lega. Oltre all’elezione del nuovo segretario della Lega lombarda, il vertice politico è stato un momento cruciale per il futuro del partito, perché ha affrontato una questione su cui si discute ormai da tempo: il rapporto fra il partito federale, la Lega per Salvini Premier (LSP) – un partito di respiro nazionale – e i diversi partiti regionali, in particolar modo quello da sempre più forte ed agguerrito, nonché originario: la Lega Lombarda fondata nel 1984 da Umberto Bossi.
«A un certo punto, sembrava quasi che ci si volesse liberare dell’ala nordista del movimento. Per noi sarebbe stato un errore fatale, perché una corrente nordista è funzionale ad aumentare il nostro potere contrattuale a Roma, soprattutto sul tema dell’autonomia e del federalismo fiscale», prosegue Romeo, alimentando la dialettica fra piano nazionale e piano locale: «C’è un campanello di allarme nella base», ha dichiarato a La Repubblica.

Prima il Nord – Si respira aria nostalgica, allo Sheraton. Un’aria nolstalgica che trapela anche dallo schermo nei video che girano online e che sono stati registrati durante il congresso. Come dice lo slogan del congresso, la Lega lombarda, per decidere del proprio futuro, guarda alle radici storiche del partito, in cerca d’una identità progressivamente perduta. E la ritrova nel proprio fondatore, Umberto Bossi, nei suoi valori, nelle sue lotte, nella sua simbologia. Al «Prima gli italiani» introdotto dalla svolta nazionalista di Salvini, infatti, in molti rimpiangono il «Prima il nord», quel «Padroni a casa nostra» che campeggia a lettere cubitali sul muro del pratone di Pontida. Oltre a Massimiliano Romeo, che vorrebbe reintrodurre il verde Sole delle Alpi e il rito dell’ampolla alle sorgenti del Po, al congresso hanno partecipato altre voci importanti, come quelle di Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, e Giancarlo Giorgetti, attuale ministro dell’Economia. Fontana, che ha ammesso di voler tornare ai tempi di «Padania libera», ha puntato il dito contro i leghisti di altre regioni che presentano «emendamenti che fanno male al Nord», cosa che lo fa «incazzare come una bestia», perché «non possiamo essere gli unici che accettano sacrifici e tirano la baracca in questo Paese e in cambio riceviamo sberle». Anche Giorgetti, che pure richiama all’ordine ricordando che la Lega nazionale «ha bisogno di un capo e il capo va rispettato», risolleva la questione settentrionale, nostalgico dei manifesti in cui la Lombardia compariva come la gallina dalle uova d’oro. Insomma, diverse le stoccate ai danni della leadership di Salvini, e in particolare alla sua impostazione nazionale.

La risposta di Salvini – Anche il segretario federale è intervenuto al vertice di domenica della Lega Lombarda. Il suo appello, di fronte alle agitazioni secessionistiche del partito, è stato: «Restiamo uniti, i nemici sono fuori, non dentro la Lega». Preoccupato per la sentenza del caso Open Arms di venerdì 20 dicembre per il mancato soccorso a 149 migranti nel 2019, Matteo Salvini ha soffocato le velleità indipendentistiche dal partito federale ribadendo: «Dal progetto del partito nazionale non torno indietro, perché se facciamo la corrente del Nord nel centrodestra non otterremo mai nulla». L’obiettivo di Romeo non è quello di minare la direzione di Salvini, anzi: «Stiamo offrendo una grande opportunità a Matteo: quella di diventare ancora più forte avendo alle spalle tutto il sostegno e la forza del cuore della Lega, che è in Lombardia», chiarisce ai microfoni di La Repubblica. Tuttavia, nel partito sembra esserci aria di scontri intestini, dietro la facciata di unità: «Quando dite che i nemici sono fuori dalla Lega, beh qualche nemico c’è anche dentro», chiosa Fontana.