Milano saluta un maestro. È morto il 17 dicembre Gian Paolo Barbieri, fotografo di moda che col suo occhio anticonvenzionale ha stravolto i rigidi canoni delle modelle, dando ironia e dinamismo ai suoi scatti. Prima la passione per la finzione teatrale, poi l’amore per il cinema noir americano e infine l’approdo all’arte fotografica. Nella sua carriera di oltre 60 anni ha influenzato generazioni di fotografi, raccontando la bellezza e l’eleganza, fino a raggiungere i più alti riconoscimenti internazionali. Aveva dichiarato ad Artribune di non aver mai inteso la bellezza come paradigma di bello: «Non esiste un bello oggettivo, ho sempre voluto far scaturire una reazione di fronte alle mie foto».

La vita Barbieri nacque nel 1935 nella centralissima via Mazzini, in una famiglia di commercianti di tessuti. Le prime esperienze come attore teatrale, costumista e operatore, poi una piccola parte nella «Medea» di Luchino Visconti. Ma fu l’amore per il cinema che lo portò a sperimentare tecniche di illuminazione nella cantina di casa sua, nel tentativo di rendere ancora più affascinanti le attrici. Negli anni ’60 frequentò e fotografò la Roma della Dolce vita, imprimendo sulle pellicole un senso di movimento cinematografico. A Parigi iniziò la sua carriera come assistente di Tom Kublin, fotografo di Harper’s Bazar, ma fu il ritorno a Milano nel 1964 che gli permise di diventare il primo fotografo di moda di Vogue Italia insieme a Gianni Penati. Da qui, nella Milano degli anni ’80, del made in Italy e del prêt-àporter, i grandi successi e le grandi campagne dei brand del lusso: Armani, Gianni Versace, Valentino, ma anche Ferrè, Yves Saint Laurent e Vivienne Westwood. Tra i ritratti più iconici quelli di Audrey Hepburn, Veruschka, Monica Bellucci e Jerry Hall.

La fotografia di moda – Una cura artigianale dei dettagli a cui si dedicava personalmente, dal trucco ai capelli agli accessori. Un processo creativo, quello di Barbieri, influenzato dall’arte, in particolare dal futurismo, e numerose le citazioni dei grandi maestri. Per la campagna del 1998 di Vivienne Westwood ritrasse una modella all’interno di una stanza di Matisse: «L’arte è il motore della mia fotografia, senza questa avrei una visione ridotta del mondo», aveva raccontato ad Artribune. «In fotografia ho cercato di simulare l’effetto della pittura a olio mettendo sull’ottica della vasellina. Spesso le scenografie le dipingevo io: costruivo delle vere e proprie ambientazioni che ricordassero qualche dipinto in particolare o lo stile di un pittore che amo». Scene pensate su modello cinematografico, come quella costruita nel 1974 per Vogue Francia, con un cammello sollevato da una gru avanti agli occhi della modella, seduta sulla banchina di Port Sudan. Una moda portata in esterno, con un intreccio tra la spontaneità della fotografia etnografica e il glamour della fotografia di moda.

I riconoscimenti e la Fondazione Nel 1968 fu indicato dalla rivista Stern come uno dei quattordici migliori fotografi di moda al mondo, nel 2018 il premio Lucie Award 2018 come Miglior fotografo di moda internazionale. Le sue opere sono esposte nei principali musei di Londra, Mosca, Vienna e Parigi.
«È un nostro compito lasciare alle generazioni future qualcosa che possa essere utile loro nell’intraprendere questo mestiere, sempre più difficile e complesso», aveva dichiarato Barbieri in occasione della nascita della fondazione che porta il suo nome, e che da oggi valorizzerà la sua eredità artistica. «Oltre di valori morali – ha commentato la nipote Giada Barbieri -, mi hai donato un’immensa eredità estetica, insegnandomi a guardare il mondo con occhi curiosi e pieni di meraviglia».