I listini europei si tingono di rosso. Il Ftse Mib al -1,40% mostra la caduta di Milano, mentre a Francoforte il Dax 40 segnala un -1,22%. Questi solo gli ultimi indicatori negativi dopo la chiusura in pesante ribasso di Wall Street del 18 dicembre. La crisi dipende dalle decisioni della Federal Reserve che ha sì, tagliato i tassi d’interesse dello 0,25%, ma ha annunciato che nel 2025 lo farà solo due volte (rispetto alle quattro previste). La paura della Banca Centrale americana è quella di una risalita dell’inflazione. Il tasso vicino all’obiettivo del 2% è in lieve risalita al 2,7%.
Il taglio – Da settembre la politica monetaria americana è tornata ad essere espansiva. I tagli avevano illuso i broker newyorkesi, facendo raggiungere record su record ai principali listini a stelle e strisce. Le aspettative sono state però deluse ieri sera quando Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, ha dichiarato la riduzione del costo del denaro solamente altre due volte il prossimo anno. La stima è dunque di tassi d’interesse al 3,75% per la fine del 2025, considerati troppo elevati secondo i mercati. Il prospetto fino a ieri prevedeva una politica monetaria ultra-espansiva. L’atteggiamento moderato della Banca Centrale americana ha invece invertito la rotta, facendo crollare i listini di tutto il mondo. Ieri il Nasdaq, l’indice azionario delle aziende tech, ha chiuso al -3,56% mentre lo S&P 500 (l’indice delle principali aziende americane) al -3,1%. Il dollaro ha preso subito valore, raggiungendo i massimi degli ultimi due anni.
L’inflazione – Il nemico da combattere è l’inflazione per cui secondo la Fed «c’è ancora del lavoro da fare. Possiamo essere più cauti nel valutare gli ulteriori aggiustamenti». La Banca Centrale americana non prevede un ritorno al 2% prima della fine del 2026. Il pericolo è quello di una crescita dei prezzi incapace alla discesa. Tra settembre ed ottobre si è riscontrato un rialzo dello 0,2% del tasso inflazionistico, facendolo stazionare al 2,6%, a novembre altri segnali negativi con il rialzo al 2,7%. Rimangono comunque lontani i picchi del 2022 con tassi al 9,1%, abbassati velocemente grazie a una politica monetaria restrittiva. Ora la Federal Reserve usa cautela, impaurita da un rialzo dei prezzi che potrebbe diventare ancor più grave una volta introdotti i dazi doganali promessi da Donald Trump.
Trump – É noto che non scorra buon sangue tra il presidente della Federal Reserve e il nuovo leader americano. Trump ha provocato più volte Powell, minacciando il suo licenziamento, la sua richiesta sono tassi bassi e un dollaro deprezzato, per favorire le esportazioni nazionali. Questo risultato è possibile solo con una politica molto espansiva della Banca Centrale. Powell dal canto suo ha sempre cercato di tutelare la necessaria autonomia dell’istituto, dichiarando che non presenterà dimissioni nemmeno se il presidente glielo chiedesse. La sua posizione non dipende in maniera diretta dalla volontà dello studio ovale.