Un miliardo e mezzo di smartphone e più di 200 milioni di computer venduti ogni anno. Almeno 26 milioni di auto elettriche che circolano nel mondo. Se esistesse un luogo in cui è concentrata la maggior parte dei materiali necessari per costruire questi dispositivi, quanto è probabile che questo sia un territorio fertile per far scoppiare una guerra? La provincia del Nord Kivu, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo, è uno dei più ricchi al mondo di materiali critici (cioè materie prima insostituibili) come coltan, tantalio e stagno. E questi importanti giacimenti sono al centro dello scontro tra le Forze armate congolesi (Fardc) e la milizia filo-ruandese M23. Un conflitto che si è riacceso con la presa di Goma, capitale del Nord Kivu, da parte dei ribelli.

Cosa è successo Già nel 2012 il gruppo M23 aveva preso d’assalto la città di Goma, ripiegando poi all’interno dei confini ruandesi e ugandesi sotto la pressione internazionale dell’amministrazione Obama degli Stati Uniti. Ma nel 2021 il conflitto ha ripreso forza e la milizia vicina a Kigali ha lentamente conquistato sempre più territori nel Kivu congolese. Ad oggi il presidente della Rdc ha ammesso che l’Est del Paese «sta affrontando un peggioramento senza precedenti della situazione della sicurezza», con Goma quasi interamente controllata dai ribelli e alcune località del Sud Kivu cadute nelle mani di M23. Secondo fonti delle Nazioni Unite, a supporto dei ribelli sarebbero entrati nel territorio congolese anche tra i tremila e i quattromila soldati dell’esercito ruandese.

Le ragioni dell’avanzata  «Tutti i prodotti minerari del Ruanda dovrebbero essere considerati “minerali di sangue” perché la loro vendita alimenta il conflitto nella parte orientale della Rdc», sosteneva nel maggio 2024 Antoinette N’Samba Kalambayi, ministra delle Miniere congolese. Il governo della Rdc aveva infatti richiesto il sostegno internazionale per un embargo sulle esportazioni di minerale dal Ruanda, accusando Kigali di saccheggiare le terre congolesi delle loro risorse.
Il governo ruandese di Paul Kagame non ha mai confermato il suo supporto a M23, ma secondo alcuni esperti il Ruanda sfrutterebbe la milizia per mettere le mani sulle risorse minerarie del vicino. I ribelli nel 2024 hanno infatti preso il pieno controllo delle miniere di Rubaya, nel territorio di Masisi, dal cui sottosuolo provengono il 15% delle riserve mondiali di coltan. Il Ruanda, pur non ospitando miniere nel suo territorio, nel 2023 si è attestato come primo esportatore di coltan al mondo: 2070 tonnellate vendute in un anno, con Kinshasa ferma a 1918 tonnellate. Secondo un rapporto del Global Witness solo il 10% dei minerali esportati da Kigali sono effettivamente estratti dal suo sottosuolo: il 90% delle esportazioni avrebbe quindi origine dal contrabbando in terra congolese.

Le risorse congolesi – La Rdc è stata a più riprese definita «scandalo geologico»: i due milioni di chilometri quadrati di territorio ospitano infatti molte risorse naturali che fanno gola a investitori e aziende di tutto il mondo. Nel Sud del Paese, nella regione del Katanga, è presente il 51% delle riserve mondiali di cobalto, essenziale per la fabbricazione di batterie elettriche. Il 90% delle vendite mondiali del cosiddetto “oro blu” sono della Rdc, principale esportatore mondiale del materiale. Nel Katanga ci sono anche importanti giacimenti di uranio (dalla miniera di Shinkolobwe è arrivata la prima bomba atomica), rame e diamanti.
Il territorio è anche ricco d’oro, con le miniere dell’Est nelle province di Ituri e Sud Kivu. Nel Nord del Kivu, invece, ad abbondare sono i “3TG“: stagno, tantalio, tungsteno e oro. Ma è la miscela della columbite-tantalite, detta anche coltan, a generare la ricchezza della regione e di chi la occupa: secondo alcune stime, il controllo delle miniere di questa preziosa unione tra tantalio e niobio genererebbe 300.000 dollari al mese a M23. Il coltan, per l’80% estratto proprio in Rdc, serve a ottimizzare il consumo di batteria nei chip di nuova generazione. Serve, in sostanza, ad allungare la vita dei nostri dispositivi elettronici.

Il ruolo dell’Occidente Mentre le ambasciate di Usa, Francia e Ruanda vengono prese d’assalto dalla folla a Kinshasa, il governo di Félix Tshisekedi attende le mosse della comunità internazionale, accusata di «inazione» dallo stesso presidente. È ancora da capire come il nuovo presidente statunitense Donald Trump si porrà nei confronti della politica aggressiva di Kigali: disinteressato al continente africano già nel suo primo mandato, il tycoon non potrà ignorare che il Ruanda è ormai da anni il principale interlocutore dell’Occidente nella regione.
Né Washington né Bruxelles hanno mai imposto sanzioni a Kigali, anzi: nel febbraio 2024 l’Ue ha stretto con il governo di Kagame un’intesa per favorire uno sviluppo sostenibile delle materie prime critiche e della raffinazione dei minerali. Ricevendo dal Ruanda quei materiali fondamentali per la costruzione di telefonini e batterie elettriche (come il coltan, 40 milligrammi in ogni iPhone), l’Europa aggirerebbe così un suo stesso regolamento: l’importazione di minerali da zone di conflitto come la Rdc è infatti vietato dal 2021.