Né il ministero della Giustizia, né la Polizia penitenziaria sono coinvolti nella vicenda Paragon. È quanto ha dichiarato Carlo Nordio mercoledì 19 febbraio durante il Question time della camera. Il ministro ha parlato nonostante il sottosegretario alla presidenza con delega ai servizi Alfredo Mantovano martedì avesse scritto al presidente della Camera Lorenzo Fontana, segnalando che alcune interrogazioni previste non avrebbero potuto avere risposta dal governo perché inerenti a informazioni “classificate”, e cioè da secretare. Nordio ha negato che le strutture che dipendono dal suo ministero avessero contratti con Paragon e ha specificato che nel 2024 nessuno è stato intercettato: «Io posso assicurare che nessuna persona è mai stata intercettata da strutture finanziate dal ministero della Giustizia nel 2024, e nessuna persona è mai stata intercettata dalla Polizia penitenziaria». La scelta di rispondere non sembra fosse stata concordata né con Mantovano, né con Giorgia Meloni, né col ministro per i Rapporti col parlamento Luca Ciriani.

Il caso – La vicenda riguarda l’uso illegittimo da parte delle istituzioni italiane di un sistema di spionaggio fornito da una società israeliana (Paragon Solutions, appunto, di proprietà del fondo Usa AE Industrial Partners) e utilizzato – violando sia la legge, sia il contratto di fornitura – per controllare attivisti politici e almeno un giornalista, il direttore di Fanpage Francesco Cancellato. La società israeliana ha tagliato fuori l’Italia dal contratto per l’utilizzo con effetto immediato: il governo italiano non avrebbe rispettato gli accordi usando lo strumento per violare alcuni account WhatsApp. L’Italia, riporta il quotidiano israeliano Haaretz, non avrebbe poi risposto alle accuse mosse dall’azienda che, anche per questo motivo, ha deciso di ritirare lo spyware dal Paese.

Le opposizioni e Mediterranea – Intanto le opposizioni non cedono. «Con quel software, utilizzato esclusivamente da organi dello Stato, sono stati spiati giornalisti e attivisti italiani. È preciso dovere del governo fare chiarezza su chi e per quale motivo spiava» ha affermato la leader del Pd Elly Schlein. Inoltre l’ong Mediterranea ha reso noto il report del team di esperti. L’attivista Luca Casarini, uno degli spiati, ha così fatto sapere che già nel febbraio 2024 un’entità non ancora identificata aveva tentato di forzare i suoi account. Questo elemento sarebbe emerso da un’analisi condotta da The Citizen Lab, un team di ricerca all’Università di Toronto, e contraddirebbe le recenti affermazioni del ministro.

Tutte le contraddizioni – Non si tratta della prima contraddizione emersa nelle ultime settimane. Come ha sottolineato il direttore di Fanpage, inizialmente il governo ha negato di aver utilizzato Paragon. L’ha ammesso solo dopo che l’azienda stessa ha fatto sapere di aver interrotto i contratti. Secondo quanto sottolineato anche dal giornalista coinvolto è stato inoltre omessa ogni informazione sul presunto contratto in uso, e non è stato specificato inizialmente quale forza di polizia fosse coinvolta. A un certo punto, inoltre, il contratto è stato definito pienamente funzionante, salvo poi smentirsi e ammettere la sua sospensione, con un cambiamento dio versione nel giro di 24 ore.

Lo spyware – Graphite, questo il nome del software di Paragon, è uno dei sistemi di spionaggio più all’avanguardia in commercio. È in grado di insinuarsi negli smartphone senza che la vittima interagisca con link malevoli o virus e viene veicolato tramite un file pdf inoltrato tramite gruppi WhatsApp. È capace di accedere ad ogni dato del telefonino, compresi i messaggi criptati. Il software riesce a trasformare il dispositivo in un vero e proprio registratore nonché tracciatore di posizione, un gps di ogni singolo movimento. A differenza di altri spyware simili, Graphite lavora sul cloud dopo aver fatto un backup del contenuto del dispositivo attaccato.