Un futuro esercito comune europeo potrebbe passare dalla difesa del confine ucraino. Una proposta che già fa nascere molti dubbi e molte critiche. Nella giornata di ieri, 26 febbraio, i leader europei sono stati aggiornati dal presidente francese Emmanuel Macron sul suo incontro di lunedì 24 febbraio a Washington con Donald Trump. Al centro del dialogo la gestione dei confini tra Russia e Ucraina dopo un’ipotetica tregua. Macron ha anche aggiornato i colleghi europei sul piano elaborato dalla Francia e dal Regno Unito di Keir Starmer, che a sua volta domani visiterà la Casa Bianca. La presidente Giorgia Meloni è stata molto critica nei confronti delle proposte di Parigi e di Londra, mostrando ancora una volta le divisioni europee di queste settimane.

Il piano e le reazioni italiane – Il piano di difesa comune elaborato da Macron e Starmer prevede un contingente di 30mila soldati europei in missione di peacekeeping nel territorio ucraino. L’obiettivo è garantire la sicurezza del paese dopo il cessate il fuoco, a condizione che gli Stati Uniti facciano da scudo. Questo piano sarà discusso più nel dettaglio nel vertice straordinario convocato a Bruxelles il 6 marzo. I principali capi di stato europei ne parleranno però già domenica 29 febbraio a Londra. Tra di loro ci sarà anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che si è già detta contraria al piano. Nella chiamata di ieri con Macron, la premier ha chiesto al presidente francese: «Vorrei sapere a che titolo sei andato a Washington». Per Meloni si tratta di iniziative che «dovrebbero essere condivise preventivamente con tutti gli stati europei». Ha poi detto che l’Italia è contraria alle truppe europee sul confine russo-ucraino perché sarebbe una strategia «poco efficace e rischiosa». L’unica possibilità è che «le garanzie di sicurezza a Kiev vengano realizzate nel contesto dell’Alleanza Atlantica». Detto in altri termini: solo con il sostegno di Donald Trump. Questa mattina è stata sostenuta anche da Alberico Gambino, eurodeputato di Fratelli d’Italia e vicepresidente della commissione Difesa del Parlamento europeo. «Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha indicato con chiarezza la necessità di un’Europa più forte nella difesa, capace di contribuire attivamente alla sicurezza collettiva senza indebolire il ruolo della Nato».
Della stessa opinione anche il ministro della Difesa Guido Crosetto, che, della stessa opinione della premier, ha scritto su X: «I contingenti non si inviano come si invia un fax. Se si parla a nome dell’Europa bisognerebbe avere la creanza di confrontarsi con le altre nazioni e ciò non è accaduto per gli aspetti militari della questione». Anche per lui, la difesa europea può esistere solo se coordinata dalla Nato.
Più piccato invece il vice presidente del Consiglio Matteo Salvini che si dice «assolutamente contrario alla difesa comune europea». Per il leader della Lega, il problema è la presidente della Commissione europea Ursula Von der Ledyen, o la «pessima Ursula», come la chiama lui. L’esercito comune è «l’ultima cosa da fare. Con Von Der Leyen a capo dura 20 minuti e poi si arrende».

La situazione militare italiana e europea – Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ieri discusso con il comandante delle forze Usa e Nato in Europa, Chris Cavoli. Al centro dell’incontro anche le spese militari. L’Italia è tra gli undici alleati che hanno dato più sostegni all’Ucraina, con 1,1 miliardi di euro. Eppure, è ancora al di sotto della cifra pattuita, ovvero 1,7 miliardi. L’Italia spende nell’industria militare poco meno dell’1,5% del Pil. Secondo gli accordi Nato, la cifra da destinare alle spese militare dovrebbe essere invece pari al 2% del Pil. È il quarto paese europeo per budget speso nella difesa, con 32,7 miliardi, e il terzo come numero di soldati, con 160mila uomini. Tajani ha poi ribadito al generale che «la partecipazione italiana ad eventuali missioni di peacekeeping potrà avvenire solo con il coinvolgimento del consiglio di sicurezza Onu».
A livello di collaborazione militare pluri-statale, in Europa, non sono molti i contingenti esistenti. C’è il Combined Joint Expeditionary Force (Cjef), creato da Londra e Parigi nel 2010 ma operativo nel 2020, che può raggiungere fino a 10mila effettivi. Oltre a questo esiste anche la Joint Expeditionary Force (Jef) a guida inglese e creata nel 2014 ma attiva dal 2018. Oggi coinvolge i 5 paesi nordici, i 3 baltici e l’Olanda. Infine c’è l’Eurocorpo, nato franco-tedesco ed esteso poi a Belgio, Spagna e Polonia. Tuttavia, l’Italia non fa parte di nessuno di questi gruppi militari plurinazionali. È stata solo integrata dal 2019 alla European Intervetion Initiative (EI2), voluta da Macron dopo la Brexit ma che nel tempo ha perso sempre più valore, fondandosi per lo più su consultazioni periodiche tra alleati.