Americana o danese? Forse autonoma. La Groenlandia voterà l’11 marzo per il rinnovo del suo parlamento e la possibilità di indipendenza si fa sempre più concreta. L’isola è sotto il controllo del regno di Danimarca dal 1721. Dal 1814 al 1953 è stata una vera e propria colonia di Copenaghen e solo nel 1979 ha ottenuto lo status di territorio autonomo e l’istituzione di un parlamento monocamerale. Oggi la Groenlandia è un protettorato della Danimarca, e dal 2009 un nuovo statuto le riconosce il diritto di dichiarare l’indipendenza. Ma la volontà del presidente statunitense Donald Trump di «acquistarla» sta allarmando i 57 mila groenlandesi. Tanto da aver spinto il Paese ad anticipare il voto.

Il voto. Le elezioni erano previste per aprile. «Ci troviamo in una situazione che ci obbliga ad anticipare le elezioni – ha dichiarato il primo ministro Mùte Egede -. Stiamo attraversando un periodo difficile, un’epoca che non abbiamo mai vissuto nel nostro Paese». L’attuale parlamento, eletto nel 2021, ha approvato una legge che impedisce il finanziamento dei partiti dall’estero e ha introdotto nuove limitazioni a investimenti e all’acquisto di terre e abitazioni da parte di stranieri. Tutto questo per evitare interferenze esterne in un Paese che – ha dichiarato Egede – è «particolarmente vulnerabile» ai tentativi di influenzare le elezioni e i processi decisionali. Attualmente il governo di coalizione è sostenuto dal partito di sinistra Inuit Ataqqatigiit (Ia) – significa “Comunità del popolo” – e dai socialdemocratici di Siumut (si può tradurre come “avanti”). Entrambe le formazioni sono per l’indipendenza. Da sinistra, i nazionalisti spingono per un distacco immediato dalla Danimarca, mentre i socialdemocratici puntano a un allontanamento più graduale. In ogni caso, alle minacce di Trump il governo danese ha fatto sapere di «non essere interessato a vendere», e anche l’85 per cento dei groenlandesi – secondo un sondaggio condotto dalle società di ricerca Verian – dice «no grazie» all’offerta. Ma Trump – che nel frattempoha mandato suo figlio Donald Jr. in visita esplorativa, come racconta la Bbc – sembra deciso anche a ricorrere alla forza.

Le tensioni. Già nel 2019 l’isola artica era diventata una base dell’US Space Force. Il controllo militare di Washington sull’isola è sancito da un accordo tra Stati Uniti e Danimarca del 1951, rinnovato nel 2004, in virtù del quale gli Stati Uniti possono costruirvi basi militari e muovere liberamente soldati e mezzi. Nonostante le numerose autonomie, è la corona danese a garantire la sicurezza e a gestire la politica estera dell’isola dei ghiacci. Quegli stessi ghiacci che, sciogliendosi, apriranno rotte marine e permetteranno un accorciamento delle distanze per il trasporto navale mondiale, che attira molto Trump. La Groenlandia è anche molto ricca di risorse minerarie: terre rare – indispensabili per la transizione energetica e per l’alta tecnologia -, uranio e non solo. E ciò la rende molto ambita anche dalla Cina. Questi metalli sono al centro dei rapporti con la Danimarca, dalla quale l’isola artica è economicamente dipendente: ogni anno arrivano 500 milioni di euro da Copenaghen. Per il resto, solo pesca. Ciò rende la questione dell’indipendenza politica non così semplice da gestire. Ai groenlandesi sarebbe richiesta la riappropriazione delle risorse dell’isola e soprattutto la gestione politica e amministrativa di una popolazione poco istruita. Intanto, secondo gli ultimi sondaggi, la coalizione di sinistra dovrebbe ottenere la maggioranza alle urne. Ma ormai nulla sembra prevedibile.