Spesso l’attacco è la miglior difesa: lo sa Giorgia Meloni, che con il suo affondo contro il Manifesto di Ventotene alla Camera ha voluto, secondo molti osservatori, distogliere l’attenzione dalle crepe nella sua maggioranza sul fronte della politica estera. La premier si presenta al Consiglio europeo del 20 e 21 marzo senza avere una posizione chiara dell’Italia sul piano di riarmo promosso dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Ieri il Parlamento ha approvato una mozione che ricalca i punti all’ordine del giorno del Consiglio, senza però entrare nel merito della difesa comune o delle contromisure ai dazi di Donald Trump.
Molinari – La vaghezza del testo votato dai deputati di maggioranza è giustificata dalla necessità di Meloni di tenere compatti Lega e Forza Italia, alleati al governo ma distanti in Europa. «L’Italia non approverà una risoluzione che dà a Meloni il mandato di approvare il ReArm EU», ha dichiarato Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera. Di tutt’altro avviso il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Meloni ha pieno mandato da parte di Forza Italia per approvare il piano di sicurezza di von der Leyen». Il leader azzurro ha anche aggiunto che il suo partito è «leale al governo, ma sull’Europa non si tratta». D’altro canto, con la presidente della Commissione il segretario di FI condivide la stessa famiglia politica europea, quella dei popolari, e ne mantiene la linea. Così come Matteo Salvini segue quella dettata dai sovranisti: il leader leghista era a Bruxelles in compagnia dell’ungherese Viktor Orbán e della francese Marine Le Pen mentre la discussione a Roma si accendeva. E dopo l’elogio da parte di Orbán, che ha definito il segretario leghista «guerriero a difesa dei nostri sacri confini», Salvini ha scandito che «Meloni ha il mandato per difendere l’interesse nazionale italiano: non penso che quello di cui qualcuno parla a Bruxelles corrisponda».
Incertezze – Non è chiaro quale sarà la posizione di Giorgia Meloni al tavolo con i leader degli altri 26 stati Ue. Al Parlamento europeo Fratelli d’Italia aveva votato a favore del ReArm (come FI e a differenza della Lega), ma la premier alla Camera ha definito il piano «fuorviante» e ne ha evidenziato alcune criticità, a partire dal nome che non richiama il concetto di difesa ma solo quello di riarmo. «Chiederò di chiarire cosa si intenda per spese di difesa», ha dichiarato la presidente del Consiglio, che vuole anche rivendicare «lo scorporo delle spese di difesa dal calcolo del Patto di Stabilità». Meloni ha poi ricordato che l’Italia con il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti avrebbe presentato una proposta alternativa per finanziare il riarmo: la creazione di un fondo di garanzia europeo in grado di attirare investimenti privati e che potrà mobilitare fino a 200 miliardi. Il progetto del ministro leghista, ricalcato sul modello dell’Invest Eu, accontenta anche il suo partito e per Molinari «è questa la posizione che ci aspettiamo Meloni porti avanti».
Le tensioni interne alla maggioranza sembrano per ora costringere Meloni a un’ambiguità che le restringerà il campo d’azione al summit europeo. La leader di FdI probabilmente finirà per allinearsi con gli altri paesi membri sul piano ReArm, ma sarà difficile far valere la propria influenza sulle modifiche da apportare (specialmente sulla spesa in deficit) senza una netta presa di posizione.