«Le primarie sono diventate un referendum per la democrazia. I turchi hanno indicato chiaramente che vogliono la Repubblica non la monarchia», le parole del professore Murat Somer – citato dal quotidiano la Repubblica – spiegano con precisione cosa stia accadendo in Turchia in questa settimana. Dopo l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, principal eesponente dell’opposizione, avvenuto mercoledì 20 marzo, decine di migliaia di persone si sono riversate nelle piazze delle più importanti città turche per protestare contro l’ennesima repressione delle libertà democratiche operata dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Durante le proteste più di 700 persone sono state arrestate, tra cui anche 9 giornalisti che hanno seguito le manifestazoni a Istanbul. Lo denuncia il sindacato dei giornalisti turco Disk Basin Is.
Elezioni partecipate – L’arresto del sindaco è coinciso – non per caso – con l’approssimarsi delle elezioni primarie del partito Repubblicano (Chp) di opposizione, previste per domenica 23 marzo e che hanno visto più di 15 milioni di persone affluire ai seggi per «opporsi fino alla fine» al regime di Erdogan. Le primarie erano previste per le elezioni presidenziali del 2028 e l’unico candidato del partito Repubblicano era proprio Imamoglu, che dal 2019 è riuscito per ben due volte a battere i candidati di Erdogan nella corsa al municipio di Istanbul ed è considerato il principale avversario del leader. Le consultazioni si sono tenute in tutte le 81 province turche e hanno votato 14 milioni e 850mila persone, tra cui 1 milione e 653mila iscritti al Chp.

Il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu. Foto di Bülent Kiliç per Afp/Getty
Una presa di coscienza – Prima del trasferimento nel carcere di massima sicurezza di Marmara, distretto di Silivri, Ekrem Imamoglu ha ribasdito in un video l’intenzione di continuare a lottare per una Turchia nuova: «Questa è un’esecuzione senza processo. Non mi piegherò mai. Non siate tristi, scoraggiati, non perdete la speranza. Assicuratevi di esprimere il vostro voto oggi. Poi unitevi a noi a Saraçhane (quartiere di Istanbul, NdR) e nelle piazze della democrazia». L’appello è diretto ai migliaia di giovani che, scesi nelle piazze di Ankara, di Diyabarkir, di Izmir e di Adana, hanno piantato una tenda per votare e denunciare «un colpo di stato civile, giudiziario, elettorale».
Parco Gezi – Circa 700 persone e 9 giornalisti sono stati arrestati in quelle che si configurano come le più grandi proteste avvenute in Turchia dal 2013, anno della della grande rivolta del Parco Gezi, a Istanbul. Il Parco Gezi ha un valore simbolico importantissimo per la società e la politica del paese, come Piazza Taksim, a esso adiacente, è uno dei luoghi simbolo dell’istituzione della repubblica turca. Nel 2013 è stata teatro di enormi proteste di massa contro il governo di Erdogan, che allora era primo ministro. Molti ritengono che quelle proteste siano state un punto di svolta nella politica turca: da un lato i giovani dell’epoca si resero conto di volere una Turchia diversa, dall’altro sono considerate l’inizio della svolta autoritaria che caratterizza il governo Erdogan da ormai più di dieci anni.
Commissariamento a Istanbul – Lo scorso anno, durante le elezioni municipali, 27 candidati del Chp hanno vinto le comunali contro i conservatori dell’Akp, il partito di Erdogan. Dodici mesi più tardi sei di loro sono stati arrestati – ultimo della lista proprio Imamoglu – e due sostituti con fiduciari nominati dal ministero dell’Interno, cioè dal governo. Una prassi che avviene da anni nell’est del paese con i sindaci curdi. Ora il timore è che il governo di Erdogan voglia impadronirsi della municipalità di Istanbul: il consiglio comunale a maggioranza Chp dovrà votare un reggente mercoledì 26 marzo, ma se le accuse di “sostegno al terrorismo” comminate a Imamoglu dovessero essere confermate, il governo potrebbe commissionare l’intera giunta.