In un’operazione che segna un ampia riconfigurazione del panorama delle telecomunicazioni nazionali, Poste Italiane ha acquisito la quota di controllo di Tim. L’operazione, resa pubblica in una nota del 29 marzo, vede Poste rilevare un ulteriore 15% del provider telefonico dal gruppo francese Vivendi, per un valore complessivo di 684 milioni di euro, portando la sua partecipazione totale al 24,81%. La transazione, sulla base di 0,2975 euro per azione, ora attende l’approvazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e segna la fine del decennio che ha visto il gruppo francese Vivendi come principale investitore in TIM, inaugurando una nuova era per il colosso italiano delle telecomunicazioni.

C’è una volta Telecom Italia – Nel 1997, quando l’allora presidente del Consiglio Romano Prodi privatizzò il gruppo statale di telecomunicazioni Telecom Italia (oggi Tim), cedendo sul mercato il 35,26% del capitale, il gruppo valeva l’equivalente di 38 miliardi di euro. Poi vennero i “capitani coraggiosi”, un gruppo di imprenditori guidato dal finanziere Roberto Colaninno che, a partire da una piccola quota, riuscì a rilevare l’intera azienda grazie a prestiti aventi come garanzia gli asset della stessa Tim. La compagnia telefonica, appesantita dai debiti, fu rivenduta un paio di anni dopo. Da allora l’azionariato è mutato frequentemente con l’ingresso del gruppo spagnolo Telefonica, di Vivendi e del fondo americano KKR, mentre sul piano industriale ci sono stati lo scorporo e la vendita della rete. Dopo  27 anni e mezzo, però, la compagnia in borsa vale appena 6,70 miliardi, un sesto della capitalizzazione iniziale.

Stato imprenditore –  Il cambio di proprietà segnala la rinnovata attenzione agli interessi nazionali in un settore di importanza strategica. Il controllo di TIM, che passa da un’entità francese a Poste, società che fa capo al Ministero dell’Economia, suggerisce un cambiamento nella direzione di un rinnovato ruolo pubblico nell’economia, con segno opposto rispetto all’epoca delle privatizzazioni varate dai governi Ciampi, Prodi e D’Alema negli anni 90, in vista nell’ingresso nell’euro.

Sinergie possibili – Oltre a riportare sotto il controllo pubblico il principale player delle telecomunicazioni italiane, l’operazione è stata giustificata dalla possibilità di creare sinergie tra i due gruppi. Poste Italiane, con la sua vasta rete di 12.800 uffici e una forza lavoro di 120.000 dipendenti, si è infatti evoluta da tradizionale servizio postale a una poliedrica azienda infrastrutturale con operazioni che spaziano dai servizi postali e finanziari, alle assicurazioni e alla telefonia mobile. Queste attività potranno da ora usare i servizi e il portafoglio clienti di Tim per offrire pacchetti retail compositi, con abbonamenti telefonici e internet personalizzati oltre che piani di investimenti in buoni postali, pagamenti digitali e, in prospettiva, un servizio di e-commerce che unifichi i progetti fino ad ora portati avanti in autonomia dai due gruppi.