Dal 2 aprile 2025, giorno in cui Donald Trump ha colpito i Paesi che importano merci negli Stati Uniti con dazi molto superiori alle previsioni, le borse mondiali sono crollate. I cali, compresi tra il 10 e il 15 per cento, sono molto estesi e, come accaduto in passato in occasioni simili, vari quotidiani e telegiornali hanno usato la formula «miliardi di euro bruciati» in borsa. Espressione divenuta di uso comune negli anni ’90 a partire dal suo utilizzo nelle agenzie di stampa. Subito, molti commentatori si sono scagliati contro l’espressione, giudicata fuorviante e addirittura additata come fake news. Tra i politici, è intervenuto il senatore della Lega Claudio Borghi che su X ha accusato: «Niente si brucia in borsa, i prezzi salgono e scendono». Un’interpretazione che pare bipartisan perché, sul fronte opposto, il deputato del Partito Liberale Democratico Italiano Luigi Marattin, tra i più convinti oppositori del Carroccio, ha usato i suoi canali social per commentare: «Sono 30 anni e passa che li leggo, ma ancora non riesco ad abituarmi ai titoloni “bruciati X mila miliardi in Borsa”. In realtà si tratta semplicemente di prezzi che si muovono, e lo fanno continuamente. Ma non si brucia niente».

Nulla si distrugge, tutto si trasforma – Secondo i detrattori, usare la metafora del falò in riferimento al calo della capitalizzazione di mercato (il valore totale delle azioni in circolazione di un’azienda) sarebbe un errore. Infatti, nel caso in cui una società viene quotata con 100 azioni dal valore di 1 euro, la capitalizzazione di mercato sarà pari a 100 euro. Ma se il giorno dopo il prezzo delle azioni cala a 0,80 euro, la capitalizzazione diventerà 80 euro. Questa perdita però, non è stata subita dagli investitori, a meno che essi non decidano di vendere quelle azioni al nuovo prezzo ribassato. Secondo Borghi e Marattin, l’investitore che non deve liquidare la posizione ha tutto tempo di aspettare la ripresa futura dei corsi azionari. E il fatto che il suo portafoglio oggi segni un -15% è privo di significato perché, se non vende, la perdita rimane fittizia. Tanto poi tornerà su e, solo allora, cederà le azioni a prezzi più alti per guadagnarci.

La distruzione di valore è reale – A ben vedere, una prima debolezza del ragionamento sta nel ritenere che il calo attuale non conti perché verrà recuperato in futuro. La teoria economica ci dice che la migliore predizione oggi di quello che accadrà nel futuro è la quotazione di mercato. Questa è la somma delle conoscenze e delle aspettative di tutti gli operatori finanziari (compresi tutti i risparmiatori retail) sul futuro prossimo. Pensare dunque di saperne più del mercato, dicendo che quel -15% è ingiustificato e temporaneo e in futuro diverrà un +20%, non è altro che una rischiosa scommessa.
Inoltre, dire che la borsa ha “bruciato soldi” è giustificato perché la caduta dei corsi azionari riflette il fatto che le corrispettive aziende stanno cancellando i loro investimenti programmati (assunzioni di lavoratori, produzioni, centri ricerca) distruggendo dunque beni reali. Nel caso dei dazi, molte grandi aziende mondiali stanno infatti abbandonando investimenti passati (che dunque sono andati a vuoto) e ne fanno altri per adattarsi al nuovo scenario tariffario (e questa è una perdita di valore oggettiva che non dipende dalla reazione emotiva dei mercati). La valutazione dei mercati riflette questo. E ci dice che i dazi hanno già bruciato ricchezza e fatto danni reali.