Un quarto d’ora di faccia a faccia. Uno di fronte all’altro nella basilica di San Pietro per discutere della pace in Ucraina. Proprio nel giorno dell’addio al ‘Papa della pace’. Non è detto che la fotografia di Trump e Zelensky, seduti da soli a pochi metri dalla Pietà di Michelangelo, cambierà la storia. Ma forse ci rimarrà. Sabato, a Roma, l’incontro tra il presidente americano e quello ucraino durante i funerali di Bergoglio è andato bene. Meglio di quello nello Studio Ovale, a febbraio: in quell’occasione gli animi si erano accesi e le trattative erano saltate. Adesso sembra arrivato il disgelo. Le distanze non si sono accorciate di botto, ma su X Zelensky ha definito l’incontro «simbolico e con il potenziale per diventare storico, se raggiungeremo risultati comuni» e la Casa Bianca ha dichiarato che è stato «molto produttivo».

L’incontro di 15 minuti a San Pietro tra il presidente americano Donald Trump e quello ucraino Volodymyr Zelensky (Zuma Press, copyright CC0 1.0)

Prove di intesa – Mentre dal Cremlino provano a tenersi buoni gli americani dicendosi «aperti ai negoziati», nella capitale italiana Donald Trump, che ha descritto San Pietro come «l’ufficio più bello che abbia mai visto», ha aperto un dialogo con l’Ucraina. Forse, prove tecniche di intesa con l’Europa, che dall’inizio della guerra si è messa di traverso a Mosca. A una domanda sulla possibile rinuncia di Zelensky alla Crimea, il tycoon tuttavia ha risposto che «è stata ceduta anni fa, senza che sia stato esploso un solo colpo di arma da fuoco. Chiedete a Obama». Il rapporto con il presidente ucraino, ora, è più disteso. Trump l’ha trovato «più calmo e più determinato a raggiungere un accordo. Ha chiesto più armi». Diverso il discorso per quanto riguarda l’intesa con Vladimir Putin. The Donald è sempre più insofferente nei confronti dell’operato dello ‘zar’. «Mi sta prendendo in giro. Forse non vuole che la guerra finisca e deve essere trattato diversamente – ha scritto sui social –. Troppe persone stanno morendo e non c’è ragione perché spari missili sulle aree civili, paesi e città».

Il tavolo delle trattative – Washington, adesso, sembra più vicina a Kiev. Si riparte dall’incontro a San Pietro, per quella che secondo il segretario di Stato americano Marco Rubio sarà «una settimana davvero decisiva». «Non esiste una soluzione militare – ha affermato in un’intervista alla Nbc –. L’unica possibilità è un accordo in cui entrambe le parti rinuncino ad alcune delle loro richieste e concedano qualcosa su cui non vorrebbero cedere». Motivo per cui «per mettere fine al conflitto sia Russia che Ucraina non potranno avere tutto ciò che vogliono». Intanto, secondo quanto riporta il ministero degli Esteri di Mosca, Rubio ha avuto anche un colloquio telefonico con il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, durante il quale è stata sottolineata «l’importanza di considerare i presupposti che stanno emergendo per avviare i negoziati sull’Ucraina». L’obiettivo è «concordare su un percorso affidabile verso una pace sostenibile a lungo termine».

La posizione della Russia – Lavrov sembra aprire alla pace, ma al contempo ha alzato le barricate. Stando all’agenzia di stampa ufficiale russa Ria Novosti, in un’intervista al giornale brasiliano O Globo ha evidenziato come Mosca resti disponibile a trovare un accordo, «ma la palla non è nel nostro campo. Finora Kiev non ha dimostrato la sua capacità di negoziare». Due campane diverse suonate dalla stessa persona. Adesso, c’è da capire se l’incontro diplomatico di San Pietro possa aver spostato gli equilibri anche nei rapporti con il Cremlino. Gli americani, finora, hanno convalidato tre richieste russe: l’annessione della Crimea, il controllo di Mosca sulle terre occupate con la forza e l’esclusione dell’Ucraina dalla Nato. Trump è spazientito da Putin, ma ora non si può correre il rischio di tagliare il dialogo. A una domanda sul perché non vengano imposte altre sanzioni alla Russia, Rubio ha risposto che «nel momento in cui cominci a fare questo genere di cose, vuol dire che stai abbandonando il tavolo del negoziato e ti sei condannato ad altri due anni di guerra. E non vogliamo che ciò accada».