Solo quattro giorni, dal 13 al 16 maggio. Il viaggio di Donald Trump in Medio Oriente sarà toccata e fuga. Ma quanto basta perché non sia solo una visita simbolica. «Di Gaza si parla molto in questo momento. Ci saranno novità entro 24 ore», ha annunciato mercoledì 7 maggio. Poco prima, l’agenzia Reuters aveva informato di «consultazioni ad alto livello» tra la Casa Bianca e Israele per un’amministrazione temporanea a marchio statunitense nella Striscia. Una gestione sul modello della Coalition Provisional Authority, stabilita in Iraq nel 2003 dopo l’invasione che aveva rovesciato il regime di Saddam Hussein. Washington, insieme a tecnocrati palestinesi (ma non di Hamas o dell’Autorità Nazionale Palestinese), terrebbe le redini del territorio fino alla stabilizzazione e alla smilitarizzazione. Secondo l’ex capo dell’intelligence militare israeliana Amos Yadlin, «prima si riportino a casa tutti gli ostaggi e si metta sul tavolo la questione della fine della guerra. Porrei il tema della smilitarizzazione di Gaza, che significa la fine di Hamas, come condizione per la ricostruzione di Gaza». Importante sarebbe «un accordo bilaterale tra Stati Uniti e Israele, simile a quello in atto nel Nord per tenere sotto controllo Hezbollah».

Il premier Benyamin Netanyahu ANSA/ETIENNE LAURENT
Il piano di Netanyahu – Su Hamas, aumenta la pressione internazionale per trovare un’intesa con l’avversario. Soprattutto, per la tutela dei civili di Gaza. Anche perché i raid continuano e le persone muoiono. Nell’ultimo, a Gaza City e Al-Bureij, sono stati contati «almeno 59 palestinesi uccisi». Lunedì 5 maggio, in un video pubblicato sul suo account X, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato un nuovo piano di occupazione totale e distruzione della milizia palestinese. L’operazione si chiama “carri di Gedeone”, dal nome del quinto giudice degli Israeliti, della tribù di Manasse, mandato da Dio per liberare il suo popolo dalle razzie dei vicini. Il piano – che non inizierà prima che Trump lasci il Medio Oriente – prevede lo sfollamento di migliaia di palestinesi verso il sud della Striscia, intorno a Rafah. Si tratterebbe di schiacciare due milioni di persone in un quarto del territorio disponibile. E poi c’è la questione ostaggi: sono 59, di cui «possiamo confermare che 21 sono vivi. Ce ne sono altri 3, la cui situazione è incerta», ha fatto sapere Netanyahu. E non è l’unica situazione grave. Per ordine dell’esercito israeliano, a Gaza non entra cibo da circa due mesi e l’Unione Europea ha denunciato che «la fame si sta diffondendo e aggravando nell’enclave». L’invito, urgente, a Israele è «rimuovere immediatamente il blocco». L’Autorità palestinese ha dichiarato la Striscia «zona di carestia» e chiesto l’intervento dell’Onu. Netanyahu ha affermato che gli aiuti essenziali e sotto stretto controllo saranno affidati a società private.
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— Benjamin Netanyahu – ?????? ?????? (@netanyahu) May 5, 2025
Occupazioni e minacce – Intanto, secondo quanto riferito da un fotografo dell’Autorità Nazionale Palestinese, le forze israeliane hanno fatto rispettare la chiusura di due scuole gestite dall’agenzia Onu per rifugiati palestinesi a Gerusalemme Est. Le Nazioni Unite hanno confermato anche che altri tre istituti hanno chiuso i battenti nel campo profughi di Shuafat. Restano i contrasti tra i vertici militari e politici israeliani. Yadlin parteggia per il nuovo capo di Stato Maggiore dell’Idf (esercito israeliano) Eyal Zamir il quale, ora che ha a disposizione maggiori risorse militari (tra cui le bombe precedentemente bloccate da Biden), vorrebbe un’operazione simultanea e duratura in tutte le città. Si entra, si occupa, si resta. Ma la frattura con Netanyahu è sulla priorità di salvare gli ostaggi rispetto alla distruzione totale di Hamas. Lo Stato ebraico, circondato sulla scacchiera geopolitica dall’alleanza degli Stati mediorientali, si trincea dietro la propria forza militare anche su altri fronti. «Avverto la leadership iraniana che finanzia, arma e gestisce l’organizzazione terroristica Houthi: il metodo del proxy (gli Stati perseguono i propri interessi attraverso intermediari non stati, come gruppi ribelli o milizie, ndr) è finito e l’asse del male è crollato – ha tuonato il ministro della difesa israeliano Israel Katz –. Voi ne siete direttamente responsabili. Quello che abbiamo fatto a Hezbollah a Beirut, ad Hamas a Gaza, ad Assad a Damasco e agli Houthi nello Yemen, lo faremo anche voi a Teheran». A quattro giorni dall’attacco dei ribelli sciiti yemeniti all’aeroporto di Tel Aviv, punito subito dopo dalla distruzione di quello della capitale yemenita San’a’ da parte dell’aviazione israeliana, un nuovo avvertimento anche agli Houthi: «Subiranno duri colpi da Israele se continueranno a sparare contro di noi. L’Idf è pronta per qualsiasi missione».