Continua l’escalation militare nella regione del Kashmir: nella mattinata dell’8 maggio il villaggio di Pooch, nel territorio indiano, è stato bombardato dalle forze armate pakistane, causando, secondo le fonti indiane, almeno 13 morti civili e decine di feriti. Le autorità indiane hanno anche riportato un tentativo di attacco pakistano con droni che è stato però contrastato con successo dalle contromisure indiane, mentre ci sono state diverse schermaglie sul confine tra i due Paesi: Islamabad ha annunciato una cinquantina di militari indiani uccisi e 25 droni indiani abbattuti. Tutto ciò rappresenta la prima risposta pakistana agli attacchi indiani che hanno colpito il territorio pakistano il 7 maggio.

L’attacco indiano – Operazione Sindoor, così l’India ha chiamato gli attacchi delle ultime ore, provocati a loro volta come reazione a quelli pakistani delle scorse settimane. Si tratterebbe infatti di vendicare, secondo Nuova Delhi, la memoria dei 26 indiani uccisi da un gruppo armato islamista il 22 aprile a Pahalgam, nel Kashmir indiano. Sindoor è il termine che indica la polvere rossa utilizzata dalle donne indù sposate come decorazione: parte dalla fronte e segue tutta la scriminatura dei capelli. La sua assenza indica anche la vedovanza e sono proprio le vedove dei morti del 22 aprile che il governo indiano guidato da Narendra Modi vuole vendicare. La risposta massiccia è iniziata nella prima mattinata del 7 maggio: esattamente a due settimane dall’attacco terroristico nel Kashmir indiano, sono state colpiti nove siti nel Kashmir pakistano e in altri territori del Pakistan. Secondo le fonti indiane si trattava di campi della milizia islamica Jaish-e-Mohammed, uno dei principali gruppi armati islamisti attivi in Kashmir. Negli attacchi sarebbero stati uccisi dieci membri della famiglia del comandante e fondatore della milizia Maulana Masood Azhar, legato ai servizi segreti pakistani e agli attacchi del 22 aprile per le autorità di Nuova Delhi. Il primo ministro indiano Narendra Modi ha dichiarato che si tratta di un «orgoglio nazionale: sono stati uccisi oltre ottanta terroristi».

Civili pakistani bruciano la bandiera indiana in strada

La versione pakistana – Le autorità di Islamabad hanno dato un’interpretazione diversa: gli obiettivi colpiti dalle forze indiane non sarebbero stati basi militari di una milizia e le vittime, quantificate in 26, sarebbero esclusivamente civili. A queste vittime, stando alle dichiarazioni pakistane, andrebbe aggiunto almeno un altro civile, in seguito a un attacco di droni effettuato l’8 maggio. È stato inoltre rivendicato l’abbattimento di 5 jet indiani durante le loro operazioni di bombardamento. Il governo pakistano ha sempre smentito ogni legame ipotizzato da Nuova Delhi con i gruppi terroristici che sarebbero responsabili dell’attacco del 22 aprile. Il premier pakistano Shahbaz Sharif ha dichiarato che «l’India ha commesso un errore lanciando attacchi contro il Pakistan e dovrà pagarla. Hanno dimenticato che questa è una nazione che sa combattere».

Relazioni passate – Sin dalla creazione dei due stati nel 1947, i due Paesi hanno vissuto fortissime tensioni e conflitti. Separati per la difficile convivenza tra popolazione indù e musulmana, India e Pakistan si sono contese la regione del Kashmir sin dalla loro nascita. Il territorio era infatti abitato in maggioranza da musulmani e sarebbe dovuto finire inizialmente sotto il controllo pakistano, ma il sovrano del regno locale era un maharajah indù e chiese la protezione indiana per mantenere il proprio dominio. Il risultato, sancito dall’Onu dopo la fine della guerra fu la spartizione della regione: un terzo al Pakistan e due terzi all’India, con condizioni di autonomia particolare che sono state revocate solo nell’agosto del 2019 dal premier nazionalista Modi. Nello stesso anno, nei mesi precedenti, era avvenuta l’ultima escalation tra i due Paesi, in seguito ad un attentato islamista che aveva causato la morte di 40 paramilitari indiani e successivi attacchi indiani nel territorio pakistano. Nel corso della storia, le crisi più pesanti in Kashmir sono state quelle del 1965, del 1984 e del 1999, oltre alle tensioni che avevano coinvolto anche l’India durante la guerra di indipendenza del Bangladesh nel 1971. Nonostante le ripetute crisi, è la prima volta dal 1960 che l’India sospende il trattato sulle acque dell’Indo, tagliando la fornitura al Pakistan.

Reazioni e appoggi internazionali – Molte potenze mondiali hanno auspicato la fine delle schermaglie. Le dichiarazioni a favore di un cessate il fuoco immediato sono venute dalla Russia, attraverso la portavoce presidenziale Maria Zakharova, dalla Turchia, dall’Alta rappresentante dell’Unione europea Kaja Kallas, dalle Nazioni Unite e dal presidente statunitense Donald Trump, che ha dichiarato: «È una situazione vergognosa, spero finisca presto». Il timore, in uno scenario internazionale già complesso, è quello di un’escalation nucleare: entrambe le nazioni dispongono infatti di arsenali comprendenti tra le 160 e le 170 testate circa. Al livello di schieramenti, gli Stati Uniti sono partner fondamentali per l’India, ma soprattutto per il Pakistan che però ora è sostenuto anche dalla Cina, che con l’India ha un punto di frizione sul confine himalayano.