C’era una volta la lotta di classe. Il tempo in cui si teorizzava il conflitto strutturale fra gli interessi delle imprese e quelli dei lavoratori. Oggi, c’è il Senato che approva, in via definitiva, la proposta di legge di iniziativa popolare voluta dalla Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (Cisl) per istituire la partecipazione dei lavoratori alla gestione, all’organizzazione e agli utili delle imprese.

La legge – Con 85 sì, 21 no e 28 astenuti, Palazzo Madama ha dato attuazione all’articolo 46 della Costituzione che sancisce il diritto dei lavoratori al coinvolgimento e alla collaborazione attiva nella gestione dell’azienda. Un nuovo paradigma nelle relazioni sindacali e aziendali italiane, con i dipendenti che siederanno nei principali organi gestionali e potranno partecipare al capitale della società anche ricevendo quote azionarie come premi di produzione (esenti, al 50% e fino ai 1500 euro, dall’imposta sui redditi). La legge stabilisce la presenza di rappresentati dei dipendenti nel consiglio di sorveglianza e la creazione di commissioni paritetiche sull’innovazione del prodotto. L’organigramma aziendale si arricchirà poi di referenti alle retribuzioni, alla qualità dei luoghi di lavoro, al welfare selezionati tra i ranghi dei dipendenti. I lavoratori avranno anche la responsabilità di nominare responsabili della formazione e dell’inclusione delle persone con disabilità.

Governo compatto, opposizioni divise – La misura è stata sostenuta con convinzione dall’intero centrodestra. In ordine sparso le opposizioni con il Partito democratico che si è astenuto, Cinque Stelle e Alleanza Verdi Sinistra contrarie, Azione e Italia Viva a favore.
Secondo Paola Mancini, relatrice del provvedimento in quota Fratelli d’Italia, la legge «contribuisce a migliorare nel profondo le relazioni sindacali» creando un modello in cui «si corre insieme verso il miglior risultato possibile». Concorde il forzista Maurizio Gasparri che ha sottolineato la portata ideale della norma: «è la migliore risposta a chi ancora diffonde il virus dell’antagonismo e della lotta di classe». Si tratta di una: «svolta epocale» per il presidente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel) Renato Brunetta, che dovrà vigliare sull’attuazione della norma con una commissione ad hoc. Critica la senatrice del Pd Susanna Camusso che, nell’annunciare l’astensione del proprio partito, ha dichiarato: «C’è stato un allinearsi a un veto di Confindustria, da sempre contraria a tutte le forme di partecipazione dei lavoratori» perché «si decide che le forme di partecipazione dipendono solo dalla volontà delle imprese di attuarle».

Due visioni del Paese – Molto negativa anche l’interpretazione della Confederazione italiana del lavoro (Cgil) che, attraverso la segretaria confederale Francesca Re David, parla di «cancellazione della contrattazione e sostituzione con una logica di subordinazione delle relazioni nelle imprese». Riproponendo il modello oppositivo delle relazioni sindacali in cui il lavoratore, pensato come corpo debole ed estraneo all’azienda, deve essere difeso da un sindacato che contratta a livello unificato e nazionale le retribuzioni, il welfare e gli altri aspetti della vita lavorativa. Secondo una logica figlia della struttura industriale degli anni ’70 quando la quota dei lavoratori dell’industria era del 40% (oggi è il 20%) e la forza lavoro aveva mansioni, competenze e produttività maggiormente uniformi.