«Mi piacerebbe che gli Stati Uniti prendessero Gaza e la trasformassero in una zona libera». Giovedì 15 maggio, all’indomani di un raid israeliano su Khan Younis che ha mietuto più di 80 vittime, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha commentato così l’escalation che sta interessando la Striscia dopo la promessa del premier israeliano Benjamin Netanyahu di invadere Gaza e di entrarci «per distruggere». Trump, nel pieno del suo tour dei paesi arabi, ha parlato dal Qatar, dove il giorno prima l’inviato speciale Steve Witkoff ha incontrato una delegazione di Hamas per discutere della liberazione degli ostaggi israeliani. Ma soprattutto dove il tycoon sempre mercoledì 14 ha normalizzato i rapporti con il presidente della Siria Ahmed al Sharaa, sospendendo le sanzioni al paese e stringendo la mano all’ex leader di Hayat Tahir al Sham, che formalmente è ancora nella lista dei gruppi terroristici del governo americano. E nel frattempo ha annunciato che l’accordo con l’Iran «per il nucleare e per una pace duratura» è vicino.
L’incontro con la Siria – Era da 25 anni che il presidente americano non incontrava un leader di Damasco. Trump l’ha definita «un’esplorazione della normalizzazione delle relazioni con la Siria», parlando anche della possibilità di aprire al paese gli Accordi di Abramo, il progetto avviato durante il primo mandato che persegue l’obiettivo del riconoscimento di Israele da parte dei governi del mondo arabo. Sei mesi fa, sulla testa dell’attuale presidente siriano al Sharaa che al tempo portava il nome di battaglia Abu Muhammad al Jolani, c’era una taglia da 10 milioni di dollari messa dal governo americano. Al Jolani non era solo leader del gruppo di insorti islamisti che ha deposto il regime di Assad in Siria, ma è stato anche tra i capi di al-Qaeda e dello Stato Islamico. Mercoledì ha stretto la mano a Donald Trump, in un incontro in cui si è parlato persino della costruzione di una Trump Tower a Damasco (non si farà, per ora). Con il suo paese in ginocchio, al Sharaa secondo il Times avrebbe mosso proposte con l’obiettivo di ingraziarsi il suo “collegaa” stelle e strisce, al fine di usarlo come paciere tra la Siria e Israele anche a costo di cedere le alture del Golan.
Tel Aviv non gradisce – «Per Israele è un bene che io abbia relazioni come quelle che ho con questi paesi», diceva Trump prima del suo tour in Medio Oriente. Ma lo Stato ebraico si è detto contrario alla sospensione delle sanzioni ai suoi vicini. E mentre da Riyad Trump lanciava il messaggio di voler «mettere fine alle vecchie guerre», l’esercito israeliano ordinava l’evacuazione immediata di scuole e ospedali a Gaza. Una distanza tra i due alleati emersa anche nella trattativa che Hamas e Stati Uniti hanno intrattenuto per la liberazione dell’ultimo ostaggio americano del 7 ottobre, Edan Alexander, o nel raggiungimento dello stop ai bombardamenti americani sugli Houthi senza garanzie per Isarele: basta che dai ribelli yemeniti non vengano colpite navi americane. In entrambi i casi uno scatto in avanti della Casa Bianca rispetto all’alleato mediorientale, dopo diversi tentativi di mediazione tra le parti andati falliti.
Tour de force – Agli Accordi di Abramo ora aderiscono Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan. Il tentativo di estenderli anche a Siria e Arabia Saudita rientra sia nella strategia di riappacificazione del Medio Oriente sia in quella di normalizzazione dei rapporti economici e commerciali perseguita dagli Stati Uniti. Trump già lo presenta come un «tour da record»: «Non c’è mai stato un viaggio che, come questo, abbia raccolto tra i 3.5 e quattromila miliardi di dollari (di investimenti, ndr) in appena cinque giorni». Ma nel mirino c’è anche un accordo con l’Iran sul nucleare, circostanza che ha congelato ogni ipotesi di attacco strategico da parte di Israele al regime di Teheran. L’intesa sarebbe vicina, secondo quanto dichiarato dal tycoon. Il fatto che l’annuncio sia arrivato dal Qatar, paese che è sempre stato tra i finanziatori di Hamas, potrebbe essere un ulteriore segnale di distanza con l’alleato.